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Le magnifiche 11 di Robert Capa

Da Lundici @lundici_it

Sarà probabilmente capitato anche a voi di perdere il lavoro di mesi. Perché magari vi rubano il computer, lasciate una borsa sul treno, la memory card della macchina fotografica si smagnetizza misteriosamente. Beh, allora dovete leggere quanto accadde a Robert Capa una settantina di anni fa.

Le magnifiche 11 di Robert Capa

Robert Capa (22 ottobre 1913 – 25 maggio 1954) nella foto in una tessera da giornalista durante la guerra civile spagnola

Robert Capa nasce il 22 ottobre 1913 a Budapest, allora parte dell’impero Austro-Ungarico, figlio di genitori ebrei e, probabilmente, con qualche dose di sangue gitano nelle vene. In questi pochi dati anagrafici è già racchiuso molto del destino di Capa: la natura storicamente errante degli ebrei si somma alla “nomade diversità” degli ungheresi, un popolo discendente da tribù che giunsero dalle steppe asiatiche oltre mille anni fa e hanno dunque poco da spartire, a cominciare dalla lingua, con il resto degli europei. L’Ungheria è da sempre una terra di confine, sin dal tempo dei Romani che fissarono per secoli il limite dell’Impero con il corso del Danubio (il fiume che attraversa Budapest, NdA). Non a caso, una delle frasi attribuite a Capa è:  ”Non basta avere talento. Bisogna anche essere ungheresi”.

Come altri paesi europei, dopo la prima guerra mondiale, l’Ungheria è scossa da fortissime tensioni tra comunisti e reazionari. Nel 1920 si instaura un regime autoritario e soprattutto antisemita. Capa è ebreo, inquieto e simpatizza per i comunisti, e così nel 1931 prende un treno per Berlino.

Nell’agitata Berlino dell’epoca, Robert studia scienze politiche, ma, comincia a considerare l’idea di diventare giornalista e, siccome non parla il tedesco, decide di provare con la fotografia. Comincia così a far foto con uno dei primi modelli di una macchina fotografica tedesca all’avanguardia in quegli anni e che sarebbe divenuta mitica: la Leica.

Tuttavia quelli sono tempi assai inquieti, al cui confronto, le preoccupazioni e crisi odierne sono problemucci da nulla. Siamo in piena Depressione (quella con la “D” maiuscola) e nel gennaio 1933 Hitler viene nominato cancelliere tedesco. Capa deve scappare ancora e finisce a Parigi, dove stanno convergendo rifugiati politici d’ogni parte d’Europa e, in generale, bohémiens e intellettuali vari.

Capa è ormai un fotografo, ma è un fotografo squattrinato che non sa mai se riuscirà a mettere insieme il pranzo con la cena. Si fa però molti amici, tra cui i fotografi Henri Cartier-Bresson e David Seymour. Insomma vive la classica vita che uno s’immagina potesse vivere un ragazzo di vent’anni scapestrato, nella Parigi degli anni ’30. E, dunque, ovviamente ecco che nella sua vita compare la femme, la donna.

Le magnifiche 11 di Robert Capa

Gerda e Robert, seduti ad un caffé parigino.

La femme è Gerda Taro, una ragazza tedesca, ebrea e comunista, anch’essa scappata a Parigi. In breve i due diventano inseparabili, nella vita e nel lavoro. Gerda è sveglia, dinamica ed ha un sacco di idee per sfruttare il talento del fidanzato. E’ lei ad “inventare” Robert Capa.  Capa non nasce infatti Capa: il suo vero nome è André Friedmann. Ma Gerda comprende che se le sue foto vengono vendute come opera di un misterioso fotografo statunitense di passaggio a Parigi, il loro prezzo può triplicarsi. E così l’ungherese André Friedmann si trasforma nell’americano Robert Capa, un nome dal suono straniero, ma che, allo stesso tempo, è facile da pronunciare e ricordare.

I tempi sono tempestosi come detto e nel 1936 scoppia la guerra civile in Spagna tra la legittima Repubblica e i fascisti del Gerda e Robert ottengono un incarico per “coprirla” e partono.

E’ in Spagna che Capa diverrà famoso in tutto il mondo. Capa non è infatti un fotografo dalle particolari abilità tecniche. Ma sa comprendere perfettamente cosa deve comunicare una foto in quel particolare contesto storico. La guerra di Spagna è la prima guerra “moderna”, in cui si effettuano bombardamenti a tappeto sulle città con l’unico scopo di colpire la popolazione civile ed in cui, quindi, tutti i cittadini, non solo i soldati al fronte, sono coinvolti e colpiti in prima persona. Si tratta inoltre di uno scontro campale che anticipa e sublima – per semplificare – le tensioni tra fascismo e comunismo. E si tratta soprattutto della prima guerra in cui l’immagine fotografica assume un ruolo fondamentale in termini propagandistici. Capa quindi fotografa i volti delle madri con i figli in braccio di fronte alle macerie delle loro case, le donne che si addestrano a sparare per respingere il nemico, i volti carichi di dolore e paura dei bambini, l’emozione dei miliziani stranieri venuti a combattere per difendere la legittima Repubblica contro l’arroganza fascista.

Le sue foto, pubblicate sulle riviste europee e statunitensi, colpiscono l’opinione pubblica e servono “più di mille parole”, nel tentativo di raccogliere appoggio e finanziamenti per la causa repubblicana, di cui diventa, di fatto, una preziosissima arma. Si tratta di dinamiche che oggi, nell’era dell’immagine ubiqua, ci appaiono normali, ma che, allora, erano assolutamente nuove. Capa comprende ed anticipa tutto questo: è lì, dove tutto accade, pronto a scattare le foto che il pubblico vuole vedere, anche se non sono tecnicamente perfette: l’importante è che comunichino emozione e portino l’azione nelle case di chi le guarda. La sua frase più famosa è infatti: “Se le tue foto non sono abbastanza buone, significa che non eri abbastanza vicino”.

Le magnifiche 11 di Robert Capa

“Il miliziano colpito a morte”, qui pubblicata sulla rivista ‘Life’.

Ed è proprio in Spagna, nel 1936, che scatta la sua foto più celebre, una delle immagini iconiche più famose di ogni tempo: “Il miliziano colpito a morte”.

Fotografie di guerra ne erano già state fatte, ovviamente. Esisteva anche una foto di un soldato fotografato mentre un proiettile lo colpisce alla spalla, pubblicata nel 1915 in Francia. Tuttavia la foto di Capa è la prima che, in maniera così potente ed “elementare”, ritrae la morte, nel momento stesso in cui accade. L’immagine alza il velo su di un’evidenza chiara a millenni a chiunque: questa è la guerra. E riesce a farlo in maniera cruda, ma, allo stesso tempo, “elegante”. Il miliziani colpito a morte sembra infatti essersi messo in posa. Ed è proprio per questo che, nei decenni successivi e tuttora, Capa fu accusato d’aver costruito la foto ad hoc. Sono stati scritti fiumi d’inchiostro sulla questione ed effettuate indagini storiografiche, fotografiche e addirittura orografiche per cercare di capire, studiando il profilo delle montagne all’orizzonte, se sia stata scattata in un luogo in cui, in quei giorni, settembre 1936, erano in corso combattimenti. Le ultime conclusioni, suffragate anche dall’apparizione nel 2007 di negativi che si credevano perduti, sembrano indicare che la foto sia autentica.

Tuttavia è certo che Capa “falsificò” altre foto, inscenando assalti di soldati verso inesistenti posizioni nemiche, un atteggiamento tutto sommato in linea con la sua visione dell’essere fotografo: l’obiettivo era raccontare ciò che accadeva, riportare al pubblico le emozioni che si vivono in una guerra, ed in questo le immagini di Capa sono sempre state più che mai autentiche.

Durante la guerra di Spagna, il rapporto tra Gerda e Capa cambia: Capa diventa famoso, ma anche Gerda comincia a fare fotografie, tanto che alcune foto di lui sarebbero in realtà da attribuire a lei.

 

[fonti: "Sangre y champán" di Alex Kershaw, "Robert Capa" di Bernard Lebrun e Michel Lefebvre, mostre visitate dall'autore, materiale su internet]

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