– Hai un realismo cinico che certe volte mi fa male.
-Davvero? Non credevo…non credevo che tu ci riflettessi sopra. – Si sforza di spostare lo sguardo dal diario che stava sfogliando allo sguardo di lui. – Ecco, non dovresti. Voglio dire… io parlo così, per dirlo. Dico la verità, sì – ma non dovresti starci male.
-No?
Lui non cambia mai espressione quando parla. Anna pensa che questo renda tutto più facile con lui.
-No. Avrebbe senso? Guardaci. Oggi sei qui, magari domani anche, ma ogni giorno che passa è più probabile che no, che non ci sarai.- Lo sguardo le cade di nuovo sulle mani, che riprendono a sfogliare il diario lentamente, con attenzione – E quando andrai via, non sarà un addio, sai, non ci saranno i saluti. Ce ne accorgeremo dopo, forse, da qualche parte nella nostra mente, o in una qualche ora più familiare delle nostre giornate. – Rassegnata, chiude il quaderno e lo poggia sul comodino; ma fatica a tornare a sostenere il suo sguardo. – Ci perderemo senza neanche salutarci, il che probabilmente è la cosa che più mi consola.
– Come fai a dirlo?
– Logica.
– Già, hai ragione.
– Tu che pensavi?
– Io, niente. Sei tu che pensi sempre. Troppo, forse.
– Troppo?
Anna lo guarda interrogativa. Poi riprende, abbassando gli occhi sulle punte dei piedi:
– Già, troppo. È sempre… è sempre stato un problema, sai. Ma è… difficile. E… banale. – Risolleva gli occhi sgranandoli, come se si fosse appena svegliata da una specie di trans. – Inutile parlarne. Fanculo! Usciamo a bere.
Mentre si prepara per uscire, Anna riflette su quello che sta succedendo. Pensa che la certezza della perdita e della fine possano dare un senso di controllo nelle relazioni interpersonali, un confortante “mal che vada” – e lei è convinta che alla fine male ci andrà, quindi tanto vale che la colpa non sia la sua, e che non sia costretta a fare delle scelte.
Simone intanto prende la giacca e guarda fuori dalla finestra. L’aria stasera non è per niente male, pensa.