Le mezzeseghe colpiscono ancora. Da Bin Laden a Brusca a Lukashenko, la triste storia degli statisti mancati
Creato il 04 maggio 2011 da Massimoconsorti
@massimoconsorti
Ieri è stata la giornata delle perle, nel senso che dal Capo, giù giù a scendere fino ai pasdaran, hanno fatto a gara a chi la sparasse più grossa. Sappiamo che l’uso del verbo “sparare”, in un paese in guerra, può essere considerata una cosa di gusto non eccelso, ma non ce ne viene in mente un altro per cui scusate la nostra proverbiale povertà lessicale e andiamo avanti. La prima è di Danielona Santanchè, la sottosegretaria dei trenta vecchietti facinorosi che stazionano da giorni davanti al tribunale di Milano (erano 300 come i volontari di Ponza ma, nel frattempo, 270 sono morti o sono stati ricoverati per ipertensione e incontinenza grave). Come tutti sanno, Barack Obama sta decidendo in queste ore se mostrare al mondo almeno una foto di Osama Bin Laden morto. Da troppe parti si insinuano dubbi e malignità, per cui la pubblicazione di uno scatto del cadavere del leader di Al Quaeda, le farebbe immediatamente cessare. Ma c’è un problema, sono fotografie “atroci”, e non ne dubitiamo visto che mostrare il volto di un uomo con un occhio trapassato da un proiettile, non è sicuramente un bello spettacolo. Gli Usa sono in possesso di tutta la documentazione visiva del blitz dei Navy Seals, video del funerale in mare compreso, ma il riserbo della Casa Bianca è comprensibile e risale a un fatto accaduto esattamente il 9 ottobre del 1967, quando la Cia autorizzò la diffusione della foto di Che Guevara, assassinato in Bolivia, steso su una lettiga con intorno alti ufficiali dell’esercito che ne deridevano il cadavere. Quella foto causò notevoli danni all’America e venne (e viene ancora) usata da chi ne combatte la politica imperialista, come un’immagine simbolo della violenza cieca degli apparati di intelligence. Lontano da noi il voler paragonare il Che con Bin Laden, ma c’è da considerare che per molti musulmani, Osama è l’Ernesto dell’Islam. Barack Obama, che ne è perfettamente consapevole, teme ritorsioni e teme soprattutto l’impatto mediatico che le immagini potrebbero avere su una opinione pubblica mondiale che sarà pure assuefatta alla violenza, ma che non per questo non potrebbe mettere mano a una bomba o dirottare un altro aereo della Twa. A fronte di evidenti problemi di rapporti internazionali, mirabile è stata la dichiarazione della nostra sottosegreteria di stato, “specialista delle interruzioni”, che risponde appunto al nome di Daniela Santanchè la quale, a Omnibus, ha fatto sentire la sua voce alta e forte con un “chi se ne frega del cadavere” che ha lasciato di stucco lo studio e perplesse le stesse casalinghe che ne seguono la luminescenza. Ed evidentemente la tivvù in questo periodo non porta bene alle donne e agli uomini di Berlusconi i quali, chiaramente sotto stress, non riescono più a restare nei confini pur amplissimi della loro proverbiale ignoranza. Piccolo quiz: secondo voi quale ministro, dopo quello degli esteri, dovrebbe essere più esperto di politica internazionale? Un aiutino. Se abbiamo ancora un esercito è perché in caso di attacco straniero dobbiamo difenderci. Lo dice la Costituzione che l’esercito serve a difenderci, e lo descrive talmente bene che il ministro che ne è a capo si chiama ministro della Difesa e non dell’Attacco. Orbene, Gnazio La Russa, che attualmente ne occupa il posto, è talmente esperto di politica internazionale che ieri sera a Ballarò ha dovuto chiedere ad un suo portaborse chi diavolo fosse Lukashenko, appena tirato in ballo dall’altro statista che di nome si chiama Pierfy e di cognome Casini. Che porti i baffi e sia un dittatore a Gnazio non frega una mazza. L’importante è che sia amico del suo padrone. I nomi dei nemici li conosce tutti, ma quelli degli amici non sono importanti. E seguendo questo ragionamento, possiamo senza ombra di dubbio affermare che Gnazio conosce Giovanni Brusca a metà. Fino a quando il killer pentito di mafia ha sostenuto che Silvio non c’entra nulla con la stagione stragista di Cosa Nostra, Brusca era un perfetto sconosciuto, ma quando ha affermato che Totò Riina aveva avuto, con la graziosa intercessione di Vittorio Mangano, rapporti con Dell’Utri e Berlusconi fresco vincitore delle elezioni, per attenuare gli effetti del 41 bis, è diventato improvvisamente un figlio di puttana millantatore e contaballe. Ovviamente Silvio ne ha approfittato per attaccare di nuovo la magistratura, come fa ormai da mesi e ogni giorno in maniera sempre più violenta. L’ultima di ieri è stata che “i giudici rappresentano il contro-potere perché non fanno passare le leggi che non gli piacciono attraverso altri giudici che le bocciano. I pm sono la causa del mancato sviluppo del paese”, ha tuonato il presidente del consiglio. Ora, c’è un solo modo per dimostrare al mondo intero di essere innocente, farsi processare. Il nostro diritto prevede che i giudici fanno le indagini, e che se le indagini provano che si è commesso un reato, si finisce sottoprocesso. All’interno del procedimento è data facoltà all’imputato di dimostrare la propria innocenza. Sono dei passaggi talmente elementari che perfino il giovin Trota ha capito da un pezzo che da noi funziona così. Se una persona normodotata venisse a sapere che un imputato non solo non si presenta nei processi ma che fa studiare e approvare ai servi leggi che gli evitano di difendersi in tribunale perché o cancellano il reato o lo prescrivono, cosa sarebbe portata a pensare? Che l’imputato di cui sopra forse non è così puro come vorrebbe far credere al popolo che lo ha eletto. Il problema è solo uno. Dove sono i normodotati?
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