Maigret lo riaccompagnò alla porta e rimase un momento a contemplare il lungosenna deserto, le botti allineate, le chiatte ormeggiate per la notte.
Nel suo ufficio di Quai des Orfèvres, il commissario Maigret riceve una telefonata; non sarà l’unica della giornata. A parlare è un uomo braccato, inseguito, in pericolo di vita.
Quando ore dopo il suo cadavere sarà abbandonato in Place de la Concorde, prenderà definitivamente il via una delle tante, indimenticabili indagini firmate Georges Simenon.
In primo piano, come spesso accade, c’è Parigi, una città che osserva quasi con distacco le peripezie delle persone che la abitano. Fresca, palpitante, pare una creatura un po’ algida, talmente consapevole della propria bellezza da permettersi di maltrattare i suoi ammiratori.
I boulevard, le brasserie, i caffè, sono il palcoscenico dove Maigret e i suoi uomini cercano di sbrogliare l’aggrovigliata matassa del caso, rincorrendo una vita (quella del morto), che si accontenta di piccole cose.
Ma a volte basta poco, è sufficiente chinarsi a raccogliere qualcosa, per finire nel mirino.
L’altra protagonista del racconto, è la violenza. Mai esibita, e non per questo meno agghiacciante; e non è solo quella della banda di tagliagole che si rifugia nella grande città per nascondersi. È invece qualcosa di più sottile, che porta Maigret (e Simenon?) a celebrare la piccola abitazione borghese, tranquilla, ritratta (almeno in questo caso), come una solida isola distante da una realtà brutale.
Non di rado, nelle opere in cui il protagonista è il commissario parigino, Simenon smaschera l’ipocrisia, la sete di potere dei piccoli borghesi, capaci di ogni bassezza pur di arraffare qualcosa.
Qui abbiamo tutto, come sempre o quasi.
Parigi (l’ho già scritto), uomini e donne privi di qualunque coscienza, consapevoli solo dei loro bisogni più elementari, animaleschi: bere, mangiare. Come un branco di lupi privo di qualunque grado di pietà; forse per questa ragione “Il morto di Maigret” recupera le atmosfere calde, rassicuranti, della casa, e con quelle si chiude. In altri libri, si finiva, e basta.
Da leggere, secondo me.