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Le mie letture: La tristezza degli angeli

Da Marcofre

Ma perché guardare una ragazza, che ci guadagni, a che serve al cuore, l’incertezza; ti rende forse la vita migliore, più bella?

Il postino Jens arriva al Villaggio mentre infuria una bufera di neve, ma il ghiaccio lo ha saldato alla sella, e ha bisogno di aiuto per scendere, e trovare conforto nella casa. È la stessa dove vive adesso il giovane protagonista di “Paradiso e Inferno”, dopo la tragica morte del suo amico: tanto abbagliato da un libro da morire di freddo su una barca di pescatori. Questo infatti è il secondo, poderoso tassello della trilogia di Jón Kalman Stefánsson, uno scrittore islandese che fa un uso magnifico delle parole. Ma andiamo con ordine.

Il postino è un uomo taciturno, grosso, e non può immaginare che proprio in quella casa troverà un individuo che lo cambierà, e con il quale condividerà molti giorni e notti. Si tratta proprio del ragazzo: uno che parla, fa domande, cerca un senso alla vita. Ama le parole, i libri.

Eppure, le parole sono una delle poche cose di cui disponiamo davvero, quando tutto sembra prendersi gioco di noi.

Nella casa il giovane dopo la sventura narrata nel romanzo precedente, ha trovato riparo, lavoro; la sera legge i libri al vecchio capitano Kolbeinn ormai cieco, mentre le due donne che la gestiscono, capiscono che non è fatto per la dura vita dei pescatori. Deve studiare.
Ma chi studia non può voltare le spalle alla vita dell’Islanda, perché l’Islanda stana gli uomini, li vuole saggiare per verificarne lo spessore, la forza.

Quando il postino Jens deve consegnare la posta nel nord del Paese, il giovane dovrà accompagnarlo. C’è da fare un tratto di mare, e Jens ne è terrorizzato, solo il giovane ha sufficiente esperienza per condurlo a riva, in salvo. Ma una volta raggiunta la terraferma, prende avvio la lotta tra questi due uomini e gli elementi, che li condurrà alla scoperta di qualcosa di sé, di quello che conta davvero.
O forse alla morte?

È un viaggio dentro il cuore di ghiaccio dell’Islanda. Nevica sempre. Tira sempre il vento. Il cielo, la primavera, sembrano concetti che appartengono a un altro mondo. D’un tratto appaiono morti che salvano i vivi, ma solo perché desiderano essere sepolti in terra consacrata. Oppure desiderano portare qualcuno dei vivi nel freddo della morte? E case spazzate dal vento, ma dove i libri, o un foglio di carta generano rispetto e stupore.

I piccoli non si muovono, fissano il foglio, non hanno mai visto prima della carta così bianca e pulita (…)

Le donne, soprattutto. A volte picchiate e umiliate (ma capaci di vendetta), a volte invise perché osano vivere da sole, senza marito. Capaci di gesti estremi, di amore sempre e comunque, le uniche a vedere oltre la ferocia della natura, la speranza. Anche Jens il postino, così silenzioso, come se il ghiaccio dell’Islanda gli fosse cresciuto nel cuore, ha trovato l’amore, ma non sa come fare, cosa dire. Conosce l’alcol, conosce se stesso con l’alcol, non teme quel ghiaccio che lo assedia, né il vento che ringhia sempre; solo il mare, e appunto l’amore. Che cambia le persone, ma chissà se cambierà pure lui.

Qui alla fine del mondo, le donne sanno destare il fuoco dal sonno e lo fanno ogni mattina da molte centinaia di anni.

Jens e il ragazzo, più una bara e un uomo, arrivano infatti alla fine del mondo, odono l’urlo del Mar Glaciale. La lotta contro la natura continua. Ci si perde nella bufera, ci si ritrova. Ci si abbandona al fascino della morte, e se ne viene strappati via. Si cade, ci si rialza, si urla per sovrastare l’urlo del vento, o per lacerare la paura di vivere che quella natura impone, e che rende la morte quasi bella. Si parla, perché non c’è altro da fare, perché appartiene all’individuo, la parola è vita e respiro, e ogni parola fa scattare qualcosa, magari solo dubbi; ma è meglio di niente.

Jens: Hai letto troppo. È pericoloso leggere troppo, ti confonde la mente e finisci a carico della comunità.

Per fortuna “La tristezza degli angeli” è un romanzo impegnativo, non perché sia “difficile” (qui è bene anche ricordare il lavoro meticoloso e ottimo della traduttrice, Silvia Cosimini). È impegnativo perché ci ricorda la bellezza delle parole, cosa è possibile farci, quante vita e carne possono evocare, e come troppo spesso ci si accontenti di espressioni mediocri.
Stefánsson “nasce” come poeta, poi abbandona perché (è una sua dichiarazione), non si sentiva a suo agio. Però questo è un romanzo: cosa voglio dire?

Che l’autore conosce la tecnica. Non ci troviamo alle prese con un esperimento, bensì con una storia che si sviluppa in tre libri. Una costruzione imponente, una sfida impegnativa che ha le sue basi su una prosa sempre convincente, “piena” e direi persino gustosa. È tanta la povertà di certa narrativa, che quando si legge questo romanzo, spesso ci si ritrova a rileggere interi paragrafi, o pagine. Perché suonano in modo limpido e forte, incantano.

La letteratura è un mondo che sta dietro al mondo. Ed è bellissimo.

L’intero romanzo (oltre 350 pagine), è un continuo confronto tra quest’ultima frase, e quella precedente di Jens: “Hai letto troppo”. Un duro uomo che vive con il vecchio padre e una sorella pura (cioè ritardata), e un giovane che al mondo non ha più nessuno. Quest’ultimo sembra destinato a perdere sempre qualcosa; anche quando trova rifugio nella casa delle due donne, presto deve lasciarlo. Allora torna fuori, nelle fauci di quella natura che ha divorato il suo unico amico, regolare in qualche modo i conti con lei; lottare, sopravvivere (o soccombere), e solo dopo abbracciare quello che ama. Che è davvero è importante.

Chi tiene in mano una penna e un foglio ha il potere di cambiare il mondo.

Secondo Omero, non c’è poesia senza dolore, ma è da qui che viene la gioia.

Secondo Stefánsson la spietata natura islandese non è una ragione sufficiente per abbandonare i libri, la parola, ma al contrario spinge verso la letteratura. Non solo perché dona gioia, ma perché rende umani, ci ricorda che la nostra umanità è da proteggere. E se al posto della natura islandese mettiamo questi nostri anni dove sciatteria e chiacchiere dilagano, urlano e soffiano rabbiosi: allora l’opera di questo autore diventa più che mai nitida e meritoria. Quando la narrativa è ridotta a cicaleccio, a puro intrattenimento, queste storie di vento e ghiaccio hanno il pregio di riportare il discorso alla sua essenza più vera. La parola salva, la parola redime.

Adesso, c’è solo da pazientare per leggere il terzo e conclusivo romanzo di Stefánsson, probabilmente in arrivo solo nel 2013.

copertina la tristezza degli angeli

La tristezza degli angeli. Di Jón Kalman Stefánsson. Traduzione e postfazione a cura di Silvia Cosimini. L’ebook usa il DRM Social.


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