Era un paesaggio in cui la luce del mattino disponeva di tutto lo spazio necessario.
Torgny Lindgren non è molto popolare nel nostro Paese, che ha scoperto la letteratura del nord Europa solo di recente.
Ma “Miele”, è un altro piccolo gioiello di questo autore.
Una scrittrice, di cui non si saprà mai né nome, né sembianze, gira la Svezia per tenere conferenze sulle vite dei santi. Nel suo girovagare, finisce in uno sperduto villaggio nel nord di quel Paese, e un vecchio si offre di ospitarla in casa sua.
È malato, in procinto di morire. E odia suo fratello, anche lui prossimo alla morte, che abita una casa poco lontano dalla sua; e da costui ricambiato della stessa moneta.
In questo paesaggio statico, dove ciascuno dei due attende che sia l’altro a tirare le cuoia per primo, la donna è l’unico elemento che crea azione, e turba. Invece di andarsene, resta; perché durante la notte nevica, certo. Ma anche quando lo spazzaneve libererà la strada, lei sceglierà di rimanere.
Nei libri di Lindgren l’azione è affidata alla parola, alla riflessione; nessuno viaggia o compie imprese spericolate, o memorabili. Di fatto, l’unico movimento che si registra in questo libro, è l’andirivieni della donna da un’abitazione, all’altra. E poi ve ne è un altro.
Si alza il coperchio, e si scopre che cosa c’è stato nel passato di questi due uomini, che cosa li ha condotti a odiarsi con tanta, cortese determinazione.
“Miele” è ottimo per chi è a caccia di una storia in apparenza banale, dove tutto si consuma nei dialoghi, e in stanze dove a parte il suono della voce dei protagonisti, non accade altro. La forza della parola, la sua capacità di svelare, senza artifici o trucchi di sorta. Sembra facile, ma questo è un lavoro che riesce solo a pochi, grandi autori.