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Le mie letture – Principianti di Raymond Carver

Da Marcofre

Bill sollevò una mano e come se la distanza che ora li separava meritasse perlomeno questo gesto, cominciò a dare all’altro dei colpetti sulla schiena, a carezzarlo, mentre le lacrime gli sgorgavano dagli occhi.

 

Nel 1981 esce una raccolta di racconti dal titolo “Di cosa parliamo quando parliamo di amore”. Autore Raymond Carver, editor Gordon Lish. ”Principianti” racchiude (di nuovo), quei racconti nella loro versione originale, senza tagli, solo con le correzioni di Carver e della moglie Tess.

Si potrebbe quindi parlare solo di questo; dell’influenza (o prepotenza?) dell’editor che nella maggior parte dei casi tagliò di almeno il 50% quelle storie. Eccetera eccetera.
E se invece parlassimo solo di questi racconti?

Certo. Anche se qualcuno potrebbe domandare quale bislacco motivo spinge editori e non solo, a pubblicare un’opera nella sua versione originale. In fondo, Tolstoj riscrisse 5 volte “Guerra e Pace” (dall’inizio, a mano, altro che computer), ma nessuno si sogna di mandare alle stampe una qualunque delle revisioni precedenti a quella definitiva.

Il motivo credo si chiami “Raymond Carver”. Ogni tanto nella letteratura appaiono questi scrittori, che forse nemmeno senza rendersene conto fanno da spartiacque. C’è più o meno un prima e un dopo, e sono costoro che lo tracciano.

“Principianti” è il consueto Carver che si avvicina alla gente che prova a campare, tra bevute e piccole catastrofi. L’etichetta di minimalista gli fu appiccicata perché (a mio parere), una potenza planetaria non poteva accettare che la letteratura si occupasse di argomenti tanto lontani dalla retorica.

Retorica che era già morta e sepolta: dopo il Vietnam, il Watergate, cosa c’era da celebrare? Nulla, ma non bastano le disillusioni per seppellire l’idea di essere il faro dell’Occidente.
Carver è l’antiretorico per eccellenza. Si guarda attorno, o forse allo specchio: e scrive.

Di amici che cercano un’avventura con due ragazze incontrate lungo la strada, e tutto sfocia in  una tragedia (“Di’ alle donne che usciamo”). O di altri che trovano un cadavere nel fiume(“Con tanta di quell’acqua a due passi da casa”); e invece di avvertire le autorità, pescano, si ubriacano, lasciano passare il fine settimana come se lungo la riva non ci fosse proprio nulla.

Non è una bella umanità quella che emerge dalle pagine di Carver; forse il termine minimalismo, al di là del riferimento alla taglia dei primi racconti, era usato per designare una peculiarità della sua narrazione che mal si conciliava con le necessità della letteratura. Che spesso sono alte.

Sono storie che abbracciano di pietà persone alle prese con situazioni a volte troppo grandi per loro, o forse sono solo troppo piccole e indifese. Ma non c’è mai la volontà di condannare o giudicare; Carver ricorda che la vita è una brutta bestia, non si può prevedere cosa ci riserva.

Einaudi. Traduzione di Riccardo Duranti.

 


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