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Le mie letture – Senza trama e senza finale

Da Marcofre

È  più facile scrivere di Socrate che d’una signorina o d’una cuoca.

 

Un libro come questo è il fedele compagno di altre letture simili. Mi riferisco a Nel territorio del diavolo; On writing; Niente trucchi da quattro soldi; Il mestiere dello scrittore, e altri che ho affrontato. C’è sempre il desiderio di capire come lavoravano gli autori del passato, nella speranza (abbastanza vana) di rubare il fuoco dell’invenzione, e come un novello Prometeo de noartri, scappare via felici con la nostra fiamma.

In realtà esiste una specie di filo rosso che accomuna questi autori, e non può essere un caso.

 

  • Artisti. Più o meno tutti sanno di avere a che fare con un mondo (quello editoriale), compromesso, zeppo di invidie e gelosie. E con una vita avara di soddisfazioni. Di una cosa sono però certi: lo si fa perché si crede all’arte. E questa non è una chimera, una creatura di aria o qualcosa di impalpabile, che vive in un mondo irreale. Al contrario è palpabile, reale come una martellata sulla mano. E si sta dei giorni su una pagina proprio per prendere a martellate il lettore.

 

  • Rileggere, riscrivere. E rileggere e riscrivere. E poi rileggere e riscrivere. Ecc. Scrivere riesce a tutti. La difficoltà è in agguato dopo, ma di solito nessuno ne cade vittima proprio perché scrivono e basta. Mi pare di non aver mai trovato uno scrittore che affermi (a meno che non voglia essere un po’ sbruffone), di scrivere e basta. Rilettura e riscrittura sono processi che agli occhi dell’esordiente suonano bizzarri (“Ma la mia storia è già perfetta!”, pensa costui), mentre l’autore sa che è lì che deve concentrare forze ed energie.

 

  • Cancellare. È inevitabile: si cancella. Un bravo autore non ha cuore, perché sa che non scrive solo per soddisfare il proprio ego, ma per comunicare. Per questa ragione si arma di ascia e amputa. Certo, non è bello perché quelle frasi sono costate parecchio, ma come dico: se sono buone torneranno in qualche modo. Altrimenti erano zavorra, perché rimpiangerle?

 

  • Tutto è degno. Ci si butta a scrivere storie con protagonisti straordinari, perché altrimenti si ritiene che la storia sarebbe insignificante. Errore. Buona parte degli autori che restano, prendono dalla realtà la signorina e la cuoca, e lasciano da parte Socrate. Certo, le persone che “contano” sono sorprese da tanto ardire, e per un po’ stanno al gioco. Ben presto se ne stancano; ma la lezione per chi vuole apprenderla mi sembra comprensibile.

 

  • Il vero impegno. Anche Cechov mi pare di quella scuola che non si cura troppo di come va il mondo. Non perché se ne infischi, ma perché se decidi di scrivere e di farlo in un certo modo, non hai nulla da rimproverarti. Puoi sposare una buona causa magari, ma il tuo scopo è scrivere, e basta. Fai bene questo e sarai ricordato per questo, il resto è del tutto irrilevante. Chi scrive fa già qualcosa di abbastanza imbarazzante e rivoluzionario: mentre tutti celebrano la bellezza delle orchidee o delle rose, lui si ferma a celebrare le erbacce. Secche, giallastre, marcite: il suo è un attentato al buonsenso e all’ordine.

Questo genere di opere (credo di averlo già scritto in passato), mostra che un autore è una persona che cammina, impara, medita, riflette e non è mai certo di niente. Proprio per questo “Senza trama e senza finale” è probabilmente un libro da avere.

 

cechov senza trama e senza finale

copertina senza trama e senza finale

Senza trama e senza finale – 99 consigli di scrittura. Di Anton Cechov. A cura di Piero Brunello. Editore Minimum Fax.

 


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