Le parole non erano mai un dono. Le parole ghermivano. Le parole mangiavano. Le parole annientavano.
Stellan Jonsson gestisce una bottega a Sunne (che esiste davvero). Per celebrare i seicento anni della fondazione della città, viene incaricato di scrivere un libro commemorativo, in cui si elencano le celebrità che hanno visitato la cittadina. Non se ne farà nulla, ma il libro di Jonsson continuerà a crescere di ricordi, personaggi, sentimenti, e dolore.
Sarà infatti l’occasione per aprire una finestra sul piccolo mondo di Sunne. Dalla sua postazione privilegiata di commerciante, Stellan sbircia, osserva, racconta, ora direttamente, ora ricorrendo ai ricordi altrui (attraverso un diario per esempio).
Il pastore Cederblom, la cui moglie si scoprirà essersi invaghita del suo vescovo, cui scrive regolarmente lettere in cui immagina quando lui “verrà”.
Il pittore fallito Harald; l’astronauta statunitense che in gioventù aveva vissuto a Sunne, e ci ritorna dopo essere stato sulla Luna (dove ha lasciato parte delle ceneri della madre), per seppellire l’altra metà delle ceneri.
C’è soprattutto Stellan però. Affabile, cortese, ma capace di improvvisi scoppi di violenza (colpisce la moglie), di silenzi. Si trincera dietro le piccole manie (quella degli autografi di persone famose), e benché parli, alla fine sono più le cose non dette, che quelle svelate.
Perché questo non è affatto un libro di ricordi, o autobiografico; Stellan non spiega, lascia molte cose in sospeso, e l’impressione finale (anche per via del gesto che compie, sull’aereo), è che non si tratti affatto di una persona perbene.
È al contrario un’indagine sulla vita, sul dolore e sull’amore, senza scivolare nella filosofia, nella scrupolosa indagine che spesso strema il lettore.
Sono invece le persone che parlano, ricordano, cercano qualcosa che offra loro un senso, che a volte può trovarsi nell’altro (l’ancora di salvezza del pittore Harald è la moglie), oppure nei libri (come fa il pastore Cederblom). Ma su tutto, aleggia la consapevolezza che si tratta di risposte parziali, perché un imprevisto (il passato, l’arrivo di una psicologa), mette in discussione quanto conseguito.
Quel che rimane, è l’apparenza di una normalità svuotata di scopi, una triste e vuota serie di gesti, uguali e inutili, in attesa di un risveglio. E forse, di un perdono.
Iperborea