di Francesca Bergamante, Tiziana Canal e Valentina Gualtieri
Si dibatte spesso sui processi migratori delle persone altamente qualificate, sulle motivazioni degli spostamenti e sui loro effetti. Ciò su cui si concorda è che fino a quando le migrazioni intellettuali hanno un carattere di circolarità, per cui le uscite da un paese sono compensate dall’entrata di persone altamente istruite, il fenomeno non assume un’accezione negativa, anzi può essere letto in termini di valore aggiunto per la crescita economica e sociale di una collettività. La visione cambia quando il saldo tra espatri e ingressi è negativo. È questa la situazione che sembra caratterizzare il nostro Paese. Il quadro italiano si discosta da quello delle economie più avanzate perché mostra una minore disponibilità di posti di lavoro ad alta qualificazione e ridotti rendimenti economici per le persone ad elevato investimento in capitale umano, nonostante ci sia una quota piccola di individui con istruzione terziaria.
Queste dinamiche, da una parte, rendono poco attrattivo il nostro paese per i profili professionali ad elevata istruzione e, dall’altra, spingono le persone più qualificate a trasferirsi verso sistemi economici in grado di remunerare meglio le competenze acquisite. l’Italia esporta “talenti”, ma importa principalmente lavoratori a bassa qualificazione: il problema non è tanto la quantità delle persone che si perdono, quanto la loro qualità in termini di capitale umano.
Da anni l’Isfol è impegnato nello studio della ridotta valorizzazione dell’investimento in capitale umano nel mercato del lavoro italiano. L’Indagine sulla mobilità geografica dei dottori di ricerca, realizzata nel 2012 su coloro che hanno conseguito il titolo nel 2006, aveva l’obiettivo di comprendere i fattori determinanti e le conseguenze delle migrazioni territoriali dei dottori di ricerca.
Dall’indagine emerge uno scenario decisamente positivo: a circa sei anni dal conseguimento del titolo di studio, i dottori di ricerca mostrano una quasi piena partecipazione al mercato del lavoro e hanno un tasso di occupazione estremamente elevato (pari al 92,5%).
Quanto alla mobilità geografica si osserva una netta prevalenza di dottori che non si sono spostati dalla regione in cui hanno conseguito il titolo o che sono tornati nella regione dove hanno vissuto prevalentemente fino 18 anni; al contrario, il 7,5% è espatriato e il 12,2% ha scelto di muoversi all’interno dei confini nazionali cambiando regione.
Ma quali sono le ragioni alla base della mobilità verso l’estero? I dottori di ricerca si muovono per motivi di lavoro e, per quasi il 60% dei casi, ad essere determinanti sono gli elementi a carattere simbolico e autorealizzativo. A spingere i dottori ad emigrare è infatti la possibilità di trovare un lavoro adeguato alle proprie aspettative e capacità, o al proprio campo d’interesse. Effettivamente analizzando alcune caratteristiche del lavoro dei dottori all’estero sembra che la migrazione abbia sortito i suoi effetti. Tra i dottori espatriati si registra una maggiore probabilità di svolgere attività lavorative coerenti con il titolo di studio e più attinenti all’ambito disciplinare del dottorato conseguito, anche se con una maggiore concentrazione in forme contrattuali a carattere temporaneo.
E’ pur vero che in molti contesti extra italiani il carattere temporaneo del lavoro non sempre coincide con la precarietà, e ad una maggiore diffusione di forme di lavoro flessibili sono associati maggiori livelli di protezione dell’impiego. A caratterizzare le eccellenze all’estero è inoltre un reddito netto da lavoro decisamente superiore rispetto ai dottori rimasti in patria. Fuori dall’Italia, inoltre, i dottori di ricerca che hanno background familiari meno vantaggiosi riescono anche a fare un salto in termini di mobilità sociale.
Andare all’estero è dunque un’opportunità e il vantaggio che ne deriva spiega perché circa il 58% dei dottori di ricerca dichiara di non aver alcuna intenzione di tornare in Italia. Chi si è trasferito e lavora in un altro stato mantiene con il nostro Paese legami più affettivi che professionali, e subordina il rientro a valide e adeguate opportunità di lavoro.
Come si è visto, la mobilità all’estero attualmente non è consistente, ma a generare criticità è la sua potenziale evoluzione. Infatti in prospettiva, dalle intenzioni di mobilità futura dei dottori di ricerca, si osserva una maggiore propensione a spostarsi in un altro paese (44,5%) piuttosto che all’interno del territorio italiano (37,4%).
Qualora le intenzioni si traducessero in comportamenti effettivi, nei prossimi anni ci troveremo di fronte ad un esodo decisamente consistente sul quale è opportuno riflettere sin d’ora.
Per approfondire:
Bergamante F., Canal T., Gualtieri V. (a cura di), Non sempre mobili. I risultati dell’indagine Isfol sulla mobilità geografica dei dottori di ricerca, Isfol – I libri del Fondo Sociale Europeo, Roma, 2014, Reveloxsnc, http://sbnlo2.cilea.it/bw5ne2/opac.aspx?WEB=ISFL&IDS=20004
21 luglio 2014