La mostra interamente dedicata all’apporto artistico e concettuale di Le Corbusier nel ‘900, offre un’esposizione integrale delle opere compiute dall’architetto franco-svizzero: dal purismo di Villa Savoye alla città umanista di Chandigarh, un viaggio nei labirinti lecorbusiani
Quando il gioco sapiente e rigoroso dei volumi “sotto la luce” si fonde con gli aspetti essenziali dell’abitare, l’architettura offre il meglio di sè. E per rendere omaggio ad un’arte poliedrica, capace di determinare gli spazi dell’essere umano, il Centre Pompidou dedica un’intera esposizione all’ideatore che, per antonomasia, ha per primo concepito il benessere dell’uomo attraverso l’ordine degli spazi. Charles-Édouard Jeanneret, in arte ‘Le Corbusier‘ (appellativo che deriverebbe dal totem indiano del corvo), simbolizza a tutt’oggi l’idea di un’architettura visionaria, sviluppatasi nel XX secolo, che grazie ad un’assidua mescolanza di discipline ha drasticamente cambiato la visione dell’abitare.
Benchè siano fondamentali per la comprensione dell’opera di Le Corbusier, i canoni pertinenti alla figura umana non avevano mai, prima d’ora, rappresentato l’oggetto di un’esposizione. Con il titolo ‘Les mesures de l’homme‘, i curatori della mostra, in primis Olivier Cinqualbre e Frédéric Migaurou, hanno pensato ad un percorso di dodici sale per ripercorrere le evoluzioni personali dell’architetto franco – svizzero; nel nostro caso, colui che sulla base di leggi organiche orientate alla percezione, ha definito i principi di una creazione multiforme alla fonte del modernismo.
In particolare, l’influenza della psicofisica introduce ad una lettura più ampia dell’esposizione, che trae origine dal campo della pittura, connessa all’arte del purismo e del periodo ‘acustico'; seguendo le tracce dell’architettura ‘brutalista’ della Chapelle Notre Dame du Haut a Ronchamp e della Ville humaniste di Chandigarh, capitale dello Stato del Pendjab in India. Senza tralasciare le sezioni dedicate all’urbanismo, che proprio con il razionalismo assiste alla comparsa del concetto di unità abitativa, evidente nei grattacieli ‘cartesiani’, tra cui si profila il progetto della Cité Radieuse di Marsiglia.
Opere omnia, i momenti di sviluppo professionale di Le Corbusier riportano all’adolescenza trascorsa a La Chaux de Fonds, città svizzera che gli diede i natali nel 1887. Da qui, dopo un’iniziale formazione da orologiaio, Jeanneret decide di compiere un viaggio per l’Europa, nel corso del quale resterà particolarmente impressionato sia dal Partenone di Atene che da diversi monumenti civili e religiosi (tra cui il capitello della basilica di San Vitale a Ravenna, alla quale dedicherà un dipinto). Questo periodo lo lancerà definitivamente verso l’architettura, tramite un percorso di maturazione artistica in cui farà la conoscenza di personalità del calibro di Heinrich Tessenow, architetto ideatore della città giardino di Hellerau; e del pittore Amedée Ozenfant, con il quale elabora e pubblica nel 1918 il Manifesto del movimento purista intitolato ‘Dopo il cubismo’, nei cui estratti è possibile ritrovare lo spirito industriale, meccanico e scientifico che si riscontra nei quadri di nature morte realizzati dai due autori. Sotto questa chiave di lettura, emerge il desiderio di descrivere gli oggetti della vita quotidiana, attraverso il miglioramento della leggibilità delle opere che le porta ad essere pure e universali, dunque alla ‘ricerca d’invarianti’.
D’altro canto, alla vigilia degli anni venti, l’influenza dell’Esprit Nouveau lanciata dal poeta Guillaume Apollinaire, spingerà Le Corbusier e Paul Dermée a fondare una rivista internazionale di estetica chiamata proprio Esprit Nouveau, che offre il preludio delle riflessioni con cui Le Corbusier intende rivoluzionare il concetto di habitat in occasione dell’esposizione universale del 1925. All’epoca, l’architetto poteva già vantare la realizzazione di opere quali Maison La Roche a Parigi e il Quartiers Modernes Frugés, dal nome dell’industriale che l’ha commissionata, a Bordeaux; quest’ultima progettata sui parametri di una città giardino rivolta ad accogliere gli operai delle Lande, con il desiderio di dare vita ad un’utopia che combini i caratteri di praticità ed estetica. Del resto, il decennio che va dagli anni venti agli anni trenta consacrerà il vocabolario lecorbusiano; il quale, all’indomani del compimento di numerose ville, tra le quali occorre citare Villa Savoye a Poissy, introduce un nuovo dizionario di termini; come trampolo, tetto giardino, piano libero, finestra in lunghezza, facciata libera. In questa direzione, associando luogo di vita e luogo di lavoro, tali dimore furono oggetto di un intenso lavoro sul colore, soprattutto per quanto concerne l’allestimento delle mura interne, destinate ad accogliere numerosi quadri, alcuni di essi firmati proprio da Le Corbusier.
Si arriva cosi’ all’alternativa lecorbusiana all’Art deco, in voga negli anni venti. Insieme al cugino designer, Pierre Jeanneret, Le Corbusier ripensa ad arredamenti formali e basici, composti da armadietti, sedie, poltrone, tavoli e letti. A partire dal 1927, il contributo apportato dalla progettista Charlotte Perriand innoverà il repertorio dei suppellettili ‘lecorbusiani’ con l’ingresso del materiale ergonomico, capace di adattarsi in maniera flessibile sia al corpo dell’abitazione che al corpo umano. Corpo e sensi; un’associazione indissolubile nel rapporto quotidiano dell’architetto con le forme. Sarà specialmente l’amicizia con lo scultore bretone Joseph Savina ad evidenziare questo aspetto del pensiero di Le Corbusier, conosciuto come il ‘periodo acustico’ della sua vita; in cui Jeanneret realizzerà alcune tele, mettendo in scena figure che richiamano alle ‘orecchie’, sintesi dell’esperienza acustica e spaziale da cui nascerà l’idea del ‘Petit Homme’, disegno su tavola che ispirerà la famosa scultura di Savina.
Di converso, il dopoguerra lecorbusiano si focalizza principalmente sulle nozioni pertinenti all’urbanistica. Gli anni ’50 accolgono l’immagine dell’unità abitativa come grandezza conforme, particolarmente evidente nei grattacieli ‘cartesiani’, studiati per includere il più alto numero di appartamenti possibili; oltre alla già citata Cité Radieuse di Marsiglia, che conta più di 337 condomini, si annoverano numerosi progetti compiuti a Firminy, Briey-en-forêt e Berlino. Opere sicuramente più utili che belle, come il convento di La Tourette (Rhône-Alpes), dove la concretezza del ‘brutalismo’ stilistico ed estetico rispecchiano perfettamente l’animo ateo dell’architetto. La natura delle forme come risposta alla psicologia della sensazione; un’espressione mentale che ha guidato Le Corbusier nella realizzazione della città umanista di Chandigarh, a lui commissionata dal Primo Ministro indiano Jawaharlal Nerhu, con la richiesta di fare della capitale del Punjab l’emblema della libertà dell’India che, attraverso le proprie tradizioni culturali, guarda con fiducia e ottimismo al futuro. Dictum factum, il piano di lavoro urbanistico disegnato da Le Corbusier, Maxwell Fry e Jane Drew sarà compiuto vent’anni dopo la morte dell’architetto franco – svizzero. Oggi Chandigarh è la città con più opere di Le Corbusier al mondo, in cui il monumento della ‘mano aperta’, pronta sia a dare che a ricevere, contrassegna lo stile lecorbusiano.
Infine, i contributi destinati allo studio del corpo umano, paralleli alla fondazione nel 1943 dell’Ascoral (Assemblée des constructeurs pour une rénovation architectural) conducono alla rappresentazione del Modulor, un sistema di misure orientate alla taglia dell’uomo medio, che riprende in parte la progressione naturale del matematico pisano Fibonacci. Il collage, creato nel 1950, rappresenta un modello di uomo della statura di 183 cm (226 cm con le braccia alzate) affiancato da una conchiglia, come simbolo dell’infinito. E’ questa una delle rare testimonianze artistiche dell’unità di misura lecorbusiana, alla quale puo’ benissimo allegarsi il Cabanon, lo spazio di 12 metri quadrati costruito presso Roquebrune-Cap-Martin, nella splendida cornice posta tra il Principato di Monaco e Mentone, in cui l’architetto abiterà fino alla sua morte, il 27 agosto 1965.
Giacomo Fidelibus @JackFide
Tribuna Italia