La mia terra è sui fiumi stretta al mare,
non altro luogo ha voce così lenta
dove i miei piedi vagano
tra giunchi pesanti di lumache.
Certo è autunno: nel vento a brani
le morte chitarre sollevano le corde
su la bocca nera e una mano agita le dita
di fuoco.
Nello specchio della luna
si pettinano fanciulle col petto d’arance.
Chi piange? Chi frusta i cavalli nell’aria
rossa? Ci fermeremo a questa riva
lungo le catene d’erba e tu amore
non portarmi davanti a quello specchio
infinito: vi si guardano dentro ragazzi
che cantano e alberi altissimi e acque.
Chi piange? lo no, credimi: sui fiumi
corrono esasperati schiocchi d’una frusta,
i cavalli cupi i lampi di zolfo.
lo no, la mia razza ha coltelli
che ardono e lune e ferite che bruciano.
Salvatore Quasimodo
Appartenente alla raccolta “Il falso e vero verde” (1956), la poesia che oggi vi propongo traccia le linee di una Sicilia nostalgica, che si manifesta davanti agli occhi del poeta appassionato. È una raccolta di quattordici poesie divise in gruppi: “Il falso e vero verde”, “Dalla Sicilia”, “Quando caddero gli alberi e le mura” e “Epigrammi”. In quest’opera Quasimodo, tra il ricordare i luoghi della sua vita, avvenimenti salienti e determinanti, mantiene vivo anche il ricordo della guerra, alludendo alla situazione di miseria e sottosviluppo di un’umanità reduce da tali eventi. Nell’intera raccolta affiora l’importanza che l’autore vuole dare alla figura del poeta e alla sua arte: non può non intervenire nella società, in quanto egli stesso ha il potere di modificare il mondo con immagini ricche di stimoli che risvegliano i cuori di uomini vittime della storia; pericolo indomabile e agitazione che affiorano anche negli ultimi versi di questa poesia, quasi divisibile in due parti, partendo da un ricordo appassionato di una terra accogliente, per arrivare al riconoscimento di grida angosciate.