di Salvatore Denaro
A sei mesi dalle elezioni presidenziali del prossimo novembre, per Barack Obama è giunto il momento di mandare chiari segnali ai latinos, ancora una volta fattore fondamentale nella corsa all’ultimo voto in Stati in bilico come Nevada, Florida e Colorado. A tal proposito, è stata proprio la decisione di regolarizzare in un colpo solo circa 800mila giovani di origine ispanica che ha riacceso il dibattito politico sul tema relativo all’immigrazione. La regolarizzazione riguarda solo i giovani con la fedina penale pulita, che hanno meno di 30 anni e che si trovano negli Stati Uniti sin da quando erano bambini. In particolare, occorre dimostrare di essere negli Stati Uniti almeno dall’età di 16 anni, di vivere attualmente nel Paese e di averci vissuto per 5 anni consecutivi, di frequentare o di aver terminato la scuola media superiore. Inoltre, possono usufruire del provvedimento anche coloro che, attraverso qualche escamotage, hanno servito l’esercito o la guardia costiera.
Secondo le ultime stime, sono oltre 11 milioni gli immigrati che risiedono irregolarmente negli Stati Uniti, di cui un milione e mezzo under 30 e circa la metà provenienti dal Messico. Numeri che fotografano una condizione per certi versi inaccettabile da chi ormai sente di essere americano al 100%, ma paradossalmente risulta essere clandestino nel suo stesso Paese. Per queste ragioni sono molti anni che le comunità ispaniche chiedono un intervento definitivo per risolvere la situazione di tanti giovani che rischiano di essere spediti in un Paese, in cui, nella maggior parte dei casi, non sono mai stati.
La sanatoria è stata definita da Obama come “la cosa giusta da fare per il popolo americano”, per il semplice motivo che “si tratta di giovani portati qui dai genitori da bambini e spesso hanno saputo di essere senza documenti nel momento in cui hanno fatto domanda per una borsa di studio o per un lavoro”.
Le reazioni dei repubblicani a questa decisione sono state piuttosto blande e contenute, dettate dalla consapevolezza che intraprendere una crociata anti-immigrazione a pochi mesi dal voto, aumenterebbe il consenso dell’ala ultraconservatrice dell’elettorato ma, di fatto, sancirebbe la consegna definitiva ai democratici dell’intera fetta dell’elettorato ispanico. Per questo motivo il repubblicano Romney, spiazzato dalla mossa di Obama, in un primo momento ha evitato di esporsi in modo netto per poi annunciare una controriforma per favorire l’immigrazione regolare puntando, ad esempio, sulla concessione di permessi per motivi di lavoro ai laureati e sui visti immediati alle mogli ed ai figli di chi ha la green card. Sempre dal fronte repubblicano, il Senatore della Florida Marco Rubio, dalle origini cubane e candidato alla carica di vicepresidente in caso di un eventuale ritorno dei repubblicani alla Casa Bianca, ha evitato di criticare il provvedimento nel merito ma ha puntato il dito sul metodo, affermando che si tratta di un intervento di natura temporanea che non può garantire la sua efficacia nel lungo periodo.
Per Obama, invece, è stata l’occasione per ribadire come i repubblicani continuino ad ostacolare l’approvazione della riforma del Dream Act (Development, Relief, and Education for Alien Minors) da parte del Congresso, una legge che permetterebbe agli immigrati irregolari, diplomati nelle scuole americane e che non hanno commesso reati, di ottenere un permesso di residenza permanente. Infatti, la sanatoria non solo riguarderà un numero di immigrati molto inferiore a quello prospettato dal Dream Act, ma attuerà solamente una sospensione temporanea dei rimpatri forzati che successivamente dovrà essere soggetta a rinnovo.
Ma in questo periodo, il dibattito politico americano è stato condizionato anche dall’attesa per i verdetti della Corte Suprema per verificare la costituzionalità non solo della riforma sanitaria, ma anche dell’Arizona Senate Bill 1070. Bollata dal Presidente Obama come “irresponsabile ed illegale” sin dal primo momento, apparve a tutti chiaro che l’approvazione da parte dell’Arizona della SB 1070 dell’aprile 2010 avrebbe rappresentato una spina nel fianco per l’amministrazione statunitense. La Casa Bianca ha subito espresso il suo parere negativo nei confronti della clausola che consente alle forze di polizia di potersi avvalere del “ragionevole sospetto” alla base delle attività d’indagine per la verifica dello status dell’immigrato ed, in casi estremi, anche all’arresto in assenza di un mandato da parte dell’autorità preposta. Per l’Amministrazione Obama si tratta di un provvedimento che nel suo complesso non solo invade la sfera della competenza federale – e per questo motivo incostituzionale – ma, di fatto, introduce il rischio del “racial profiling”, ovvero l’attivazione delle procedure di identificazione solo per il colore della pelle.
Il governo messicano, come del resto la maggioranza dei Paesi latino-americani, ha da subito appoggiato le ragioni della Casa Bianca, affermando che raddoppierà il suo impegno per sostenere tutti i connazionali emigrati, con o senza permesso di soggiorno. Per contro, a sostegno della SB 1070 si sono schierati personaggi molto controversi del panorama politico statunitense, come ad esempio il senatore repubblicano Russel Pearce, ultraconservatore e noto per i suoi rapporti con i gruppi di estrema destra.
Nonostante l’opposizione del Presidente Obama, degli Stati latinoamericani confinanti e dell’Unione Americana per le libertà civili (ACLU), il Governatore repubblicano dell’Arizona Jan Brewer, non ha fatto nessun marcia indietro ed ha continuato la sua crociata per dare un argine agli imponenti flussi migratori dal Messico. Poco importa se per raggiungere questo obiettivo vengono messi in discussione i diritti delle persone trovate senza documenti. La controversia è giunta, quindi, alla Corte Suprema, chiamata a pronunciarsi su una questione il cui valore politico ha assunto una dimensione talmente determinante da poter condizionare la campagna elettorale e quindi l’esito delle presidenziali di novembre. In un clima di assoluta incertezza, erano in molti a credere che una sentenza a favore dell’Arizona avrebbe rappresentato una pesante sconfitta politica per Obama e condotto altri Stati ad intraprendere la stessa strada del Governatore Brewer.
Pericolo scongiurato? Non del tutto. Infatti, la Corte Suprema nella sentenza del 26 giugno scorso ha annullato gran parte delle disposizioni della SB 1070, ma ha dichiarato legittima la norma che dà la possibilità alla polizia locale di eseguire controlli alle persone sospettate di essere irregolari. La sentenza stabilisce che non commette nessun reato l’immigrato senza documenti che cerca lavoro o chi non ha i documenti con sé quando viene controllato dalla polizia. Inoltre, viene rigettata la norma che avrebbe permesso alla polizia di arrestare qualsiasi immigrato solamente perché sospettato di aver compiuto un reato punibile con l’espulsione.
Siamo di fronte ad un verdetto che, pur rappresentando una vittoria a metà per Obama, individua nelle norme rigettate “un’indebita intrusione delle prerogative e della sovranità federali”, rafforzando le ragioni della Casa Bianca circa la necessità del Congresso di approvare il prima possibile il Dream Act, o comunque di ridiscutere un progetto di legge organico, capace di regolare la materia a livello federale.
Se per Obama è una mezza vittoria, anche per i repubblicani si tratta di una sentenza molto positiva. Secondo Kris Kobach – repubblicano, Segretario di Stato del Kansas, ma soprattutto uno di quelli che ha dato un importante contributo alla stesura della SB 1070 – la Corte Suprema con la sua sentenza avrebbe dato agli Stati una green light per attivare le procedure di controllo dei documenti degli immigrati, un fatto storico che aprirebbe nuovi spiragli in favore della gestione a livello statale di alcune parti di una materia da sempre regolata a livello federale. L’Arizona ha speso circa 3 milioni di dollari per difendere questa legge ed appare evidente che cerchi di aggrapparsi, anche in modo strumentale, alle norme non rigettate dalla Corte, sia per attaccare la politica di Obama su questo tema così spinoso, sia per continuare a mantenere la fiducia dell’elettorato più intransigente nei confronti degli immigrati irregolari.
Aldilà delle dichiarazioni dal sapore meramente elettorale da parte di democratici e repubblicani, per Obama è appena iniziata una partita in un campo particolarmente scivoloso, sia dal punto di vista politico che sociale. La destra repubblicana ha capito che parte del malcontento che contraddistingue l’Amministrazione Obama deriva proprio dalla questione immigrazione e per questo motivo ha individuato nel Senatore della Florida, Marco Rubio, la persona che può contrastare Obama su questo campo per le prossime elezioni. Infine, dal punto di vista sociale, non è mai facile parlare di regolarizzazioni, sanatorie e di provvedimenti che vanno incontro alle esigenze degli immigrati in un Paese che non è ancora uscito dalla crisi economica, contraddistinto da un forte aumento della disoccupazione e dove moltissime famiglie hanno perso tutto in seguito alla crisi dei mutui sub prime. Per questi motivi, oggi come non mai, anche una società come quella statunitense contraddistinta dalla forza del suo melting pot culturale trova enormi difficoltà a rendere più giusto ed efficiente il sistema dell’immigrazione.
* Salvatore Denaro è Dottore in Scienze Internazionali (Università di Siena)