Magazine Cinema
di Roberto Oddo
1. Tra le luci
La luce schiuma all'improvviso nel silenzio: forme gassose arieggiano impalpabili, spruzzi di giorno si accucciano tra le tette, finché nuove ventate di gambe impazienti sbriciolano il sogno. Era un sogno qualunque, certo, non avrei voluto neanche farlo, ma stavo ancora correndo: sarei arrivato da qualche parte.
Barbara è lì da sola, solleva le braccia e, prima che queste ricadano, sento un forte colpo al mio fianco, anche il dolore, mentre cerco di capire se a destra o a sinistra mi volto e leggo “scusa” tra le labbra di una biondina molto giovane. Qualcuno, credo un suo amico, mi cinge le spalle e mi trascina rapidamente fuori dalla pista: è forte, nonostante l'età, e non avverto altro che un bruciore che si irradia lungo la mia sbrigativa eccitazione.
La ragazza sbuca da un'aureola di luce verdastra come se ne precipitasse fuori e mi porge un bicchiere d'acqua. Il tipo belloccio sorride vedendomi rinvenire. Leggo nel mio sogno, o nei suoi occhi, “ti sei preso un bello spavento, eh?” e rispondo sì o qualcosa di simile con il capo, prima di riprecipitare in un sonno pesante. Lui mi schiaffeggia e, quando mi riprendo, mi risparmia l'idiota cameratismo che ti aspetti da un compagno di sbornia. Mi rimetto in piedi, lui sospira rasserenato, guardando lei. La ragazza ricambia l'occhiata con un'espressione di noia mal repressa, ma non si dicono nulla mentre tornano a ballare anonimi nel singhiozzo di fari e fumo.
Barbara si ricompone solo adesso nel maldestro silenzio del dj, mi vede e mi saluta da lontano con l'aria sbruffona di chi sa di non avere rivali. Un cenno della mia mano, pollice in su, le dà questa e altre conferme: le altre puoi pure sbattertele, lei se hai le palle devi amarla fino a soffocare. Non nota il mio pallore, galleggia nella sua nebbia bassa e soffocante, gli occhi le si chiudono e ricomincia ad aleggiare nel monotono martellare della notte. Non sembra, ma ne ha ancora a lungo prima che l'alba si rifletta in lei, ormai a suo agio con la sua sudatissima nudità.
Io rimango fuori pista, sebbene il dolore sia ormai svanito: non ho più speranza di ricordare da dove venisse e se fosse importante. Cercherò una birra e qualche ragazza con cui flirtare. Le ragazze si trovano, per le birre invece devi fare la fila e io non ne ho altrettanta voglia. Mi seggo in una caldissima poltrona di pelle, ci devono esser stati almeno in due qui. Sul punto di alzarmi, noto che un bicchiere è stato lasciato sul tavolino come dalla foga, mezzo vuoto; e, sotto, un biglietto giallo.
Addebiterò la mia curiosità alla confusione della gomitata: solo un numero di telefono, lo metto in tasca, e farò finta di aver dimenticato un gesto così quotidiano. Compongo il numero sul cellulare, nel caso in cui perdessi quell'annotazione Provo ad avviare la chiamata, certo di sfoderare una discreta disinvoltura a seconda di chi mi risponderà. Non risponde nessuno e dopo pochi squilli cade la linea. Me ne torno in pista e i reni e i colori riprendono a pulsare anche per me. La notte in fondo è ancora tutta da sprecare nel lusso di un'alternanza impietosa tra suoni che irrompono e battiti che svaniscono.
È strano, perciò, che l'assalto cominci già adesso: basta che mi alzi, con il pugno chiuso ancora in tasca e le dita incerte se lasciare o no il foglietto. Prima un inglesino che mappa ogni centimetro di Barbara e pendola da uno all'altro per sapere chi sia, prima di cadere per terra, poi una coppietta che non ti immagineresti alle due di notte tra bottiglie di birra e vagonate di ormoni. Lui mi squadra, poi sceglie un particolare qualsiasi del mio viso e dice: "È amica tua, quella." Lei ridacchia.
Tento un diversivo: "Quale?"
È lei a indicarmela, col tono offeso di chi non comprende l'equivoco. "Quella.", grida, cercando di sovrastare le onde sonore che ci sommergono dagli altoparlanti proprio dietro di noi. Ma Barbara non era più dove l'avevamo lasciata. Al suo posto, due ragazzi sembrano ballare un valzer, come se fossero stati proiettati lì per sbaglio da qualche raggio intergalattico. Ma ho la possibilità di svincolarmi con una risata, dicendo: "No, nessuno dei due."
Quando sono abbastanza lontano da scoraggiare ogni idea di socievolezza, riprovo a chiamare quel numero, ma non arrivo a inoltrare la chiamata che si presenta un ragazzino che avrà vent'anni e non più di qualche ora passata in discoteca. Mi domanda di Barbara, che aveva visto prima salutarmi; gli rispondo che sì, la conosco, e che sì, è impegnata. Poi sentenzia pensieroso: "E non con te", la cerca con gli occhi.
Sorrido e confermo; lui perde la pazienza: "Ah, sei gay" e pare che stavolta si attenda una replica.
Il mio cellulare vibra a interrompere il mio silenzio stordito. Lui può andarsene indignato e incolume e io rispondo a Barbara.
"Tonio?"
"Non chiamarmi così. Mi hanno appena dato del rottinculo."
"Tonio, ascolta..."
"Non chiamarmi così."
"C'è Kostas."
"Kostas?"
"Rainer... È a Berlino."
"Kostas... Rainer... è... è in anticipo. Facevamo quasi in tempo a prendere l'ultima corsa della U3."
"Va bene lo stesso, mi ci accompagni tu." Non spreca mai punti interrogativi nei suoi discorsi.
"Dove?"
"A Ostbanhof. Dai, andiamo, raggiungimi."
"Dove sei?"
Segue un attimo infinito di silenzio che neanche la musica sfonda. Poi mi sento toccare la spalla destra: mi volto e lei scoppia a ridere.
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