Foto: Flickr
Rule No. 1 - The reader must have equal opportunity with the detective for solving the mystery. All clues must be plainly stated and described.
(Regola numero 1 - Il lettore deve avere le stesse opportunità del detective di risolvere il mistero. Tutti gli indizi devono essere presentati e descritti con chiarezza.)
Cominciamo bene!
Sì, perché questa regola la violano allegramente tutti, dalla Christie in poi, al punto che gli unici ad averla cavallerescamente rispettata sono Poe, Conan Doyle e lo stesso Van Dine. Giallisti, guarda caso, di epoche positiviste, piene di certezze, di fiducia nella scienza. Lo stesso Poe, nei suoi racconti gialli, è uno scientista impressionante.
Di sicuro non se n'è preoccupato invece Raymond Chandler, il quale - avendo collaborato alla sceneggiatura de Il grande sonno, tratto dal suo stesso romanzo - arrivò ad ammettere con il massimo candore che alla fine c'era un cadavere di troppo, il cui responsabile gli stessi sceneggiatori non sapevano chi fosse!
A Chandler interessavano altre cose: tenere sempre alta la suspence, descrivere la società americana, trovare il giusto equilibrio tra azione violenta e caratterizzazione psicologica dei personaggi.
La verità è che nessun romanziere vuole legarsi le mani giocando ad armi pari, innanzitutto perché teme (giustamente) di cadere nell'ovvio dando troppi indizi, troppe precisazioni, troppe mappe stradali.
In secondo luogo perché il giallista sa che in realtà il lettore non gli chiede una sciarada da settimana enigmistica: il lettore vuole essere intrattenuto, turbato, emozionato, qua e là eccitato nelle sue paure, nei suoi sogni, nei suoi incubi; vuole (soprattutto oggi, nel terzo millennio) riflettere sulla realtà sociale, e pensa, a torto o a ragione, che il giallo gli fornirà tutto ciò.
Quindi non si preoccupa di fornirgli tutti gli indizi, perché sa che il lettore non si sentirà tradito, anzi si divertirà di più.
Al contrario, semina qua e là falsi indizi, false piste, vicoli ciechi, sapendo che il lettore accetterà volentieri di giocare a mosca cieca. Il rischio è quello di cadere nel difetto opposto, che è quello di diventare stucchevole: io per esempio mi annoio molto quando leggo il trecentesimo giallo inglese (mi riferisco per esempio a P.D. James o a Elizabeth George) in cui tutti, ma proprio tutti sulla minuscola isoletta dell'Atlantico, avevano un movente e un'opportunità per uccidere la vittima.
Chiaramente, non va confusa la pratica cosciente dello spargimento di falsi indizi con l'involontario confezionamento di un giallo raffazzonato contenente:
1) troppi personaggi
2) troppe sottotrame
3) troppi simbolismi
4) troppe storie d'amore.
In questo caso si cade, per un vizio, per l'altro o per la loro sommatoria, nell'iperstoria (la definizione è dello sceneggiatore Fabio Bonifacci, il cui interessantissimo blog invito tutti a leggere per approfondire i meccanismi della narrazione sia letteraria che cinematografica).
Mi viene in mente, ad esempio, un giallo italiano letto recentemente, Meglio morti, di Marcello Fois. A me di Fois era piaciuto da impazzire l'ipnotico e poeticissimo Il sempre caro, ambientato nella Sardegna ottocentesca. Anche Meglio morti si svolge in Sardegna, ai giorni nostri, ma ci sono così tanti detective (violazione di un'altra regola vandiniana), talmente tante sfasature cronologiche e un colpevole talmente pieno di difetti che il lettore si perde, annaspa, perde continuamente il filo, deve tornare indietro e rileggere di continuo. Non è la vicenda principale che è complicata, è lo scrittore che ha mescolato troppe sottotrame e ha perso il controllo.