Una serata tranquilla, in due al ristorante, proprio pochi giorni fa: luci chiare, voci basse, tintinnio di bicchieri. E nell’attesa tra l’antipasto e il piatto, il mio commensale si guarda attorno.
- Quanti tavoli di donne sole…
- …come? (ho fatto la vaga, lo ammetto)
- Quanti tavoli di donne sole, dico. Non accompagnate.
- Non sono sole –dico, guardandomi attorno anch’io. Sono in quattro qui, in due lì…
- Sì, ma sono donne sole, non accompagnate.
- Sono accompagnate dalle loro amiche…
- Ma sono sole, senza compagno, marito, fidanzato.
- Scusa, ma se fossero due uomini, diresti due uomini soli?
Riportare il resto della conversazione mi pare inutile: siamo andati avanti così per un bel pezzo. Io mi frenavo per non sbottare e lui non capiva proprio né di cosa stessi parlando, né perché continuassi a insistere che erano tavoli “di sole donne” e non “di donne sole”.
E mi sono resa anche conto che non coglieva il nocciolo perché io non pronunciavo volutamente la parola magica “maschilismo” , che avrebbe permesso al mio interlocutore –colto e nient’affatto stupido- di collocare le mie recriminazioni nell’ambito giusto: le differenze di genere, le discriminazioni.
Le parole sono pietre, e per me che amo leggere e scrivere, forse le parole hanno un peso specifico maggiore, ma è anche vero che le parole sono uno strumento per descrivere il mondo attorno a noi: e quelle che si usano sulle donne (o forse dovrei dire “contro” le donne) descrivono un mondo a noi profondamente avverso.
Il semplice battibecco dell’altra sera è impressionante se si riflette su tutte le sue implicazioni: il teorema che una donna senza accompagnatore sia sempre “sola” porta ad una serie di corollari sull’incapacità delle donne di gestirsi, sulla pericolosità del non essere “protette” e persino sulla loro moralità.
Non so se ricordate quella lista di parole che circolava qualche tempo fa e che aveva (e ha) connotazione e uso diversi tra maschili e femminili e le parole al femminile riassumibili in un termine solo: mignotta.
Molto divertente, vero? Molto. Ma queste discriminazioni linguistiche sono il minimo; il web pullula di aforismi, foto e citazioni che mostrano l’atteggiamento persistente del mondo maschile nei confronti delle donne: offese latenti, violenze verbali mascherate da ironia, che puntano a sottolineare l’inferiorità del sesso tuttora definito debole; modelli stereotipati che resistono al passare degli anni, al mutare delle condizioni sociali ed economiche.
E lo so che i miei quattro lettori maschi -ammesso che abbiano resistito fino a questo punto – stanno scuotendo la testa, minimizzando la cosa: roba sciocca, che non merita attenzione e che non riguarda noi, uomini di mondo. Stupidaggini da cinepanettoni, e non concetti da gente istruita.
Mi spiace di dovervi disilludere. Le frasi riportate nella foto dell’articolo sono di uomini reputati di genio, da Paolo di Tarso a Schopenhauer, da Cesare Pavese a Flaubert, Nietzsche e compagnia cantante, tutti uniti al di là del tempo e delle differenze di pensiero sotto un’unica bandiera e un solo dogma: dimostrare che la donna è inferiore.
E quindi ora mi tocca contraddire non solo il mio commensale dell’altra sera, ma persino fior di filosofi e scrittori. Ma vi risparmio il ragionamento, perché ritengo che ciò che è manifesto non ha bisogno di esser troppe volte ripetuto e sottolineato.
Proprio per questa mia convinzione, tuttavia, una domanda continua a frullare nel mio cervello: ma tutto questo impegno e profusione di ingegni, tutta questa avversione e questa smania di dimostrare non nasconderà la semplice, primitiva paura infantile di perdere il trono?
Temo che lorisignori non mi risponderanno mai.