Piramidi egizie nascoste nella sabbia? È quello che ritiene l’archeologa statunitense Angela Micol.
Lo studio è stato condotto utilizzando un metodo di ricerca basato sull’analisi delle “anomalie” sul terreno, riscontrabili attraverso foto aeree ed immagini satellitari (Google Earth). Alla base della metodologia vi è l’assunzione che queste “anomalie” sono difficilmente riscontrabili in natura e quindi, di conseguenza, possono essere imputate all’attività umana.
La studiosa afferma di aver così individuato due possibili siti archeologici: uno nei pressi della città di Abu Sidhum (Egitto) e l’altro nel Fayum, a circa 130 km più a Nord. Le immagini rivelano la possibile presenza di un complesso di forma quadrata di circa 140 m di larghezza da una parte, mentre nell’altro sito vi sarebbero quattro tumuli di dimensioni dai 100 ai 250 m di larghezza collocati in formazione e nelle vicinanze di una forma triangolare dalla notevole dimensione di 600 metri di larghezza. Se le ipotesi così suggerite venissero confermate, ci si troverebbe di fronte ad un’importante scoperta archeologica, con piramidi localizzate in una posizione molto più a Sud rispetto a quelle conosciute ed, in un caso, con dimensioni di 3 volte maggiori rispetto alla piramide di Cheope.
La rivelazione è stata accolta con molto scetticismo dagli archeologi di tutto il mondo, ma a sostegno della scoperta bisogna dire esistono delle antiche mappe, di cui anche una tracciata da un ingegnerie al seguito di Napoleone Bonaparte, che sembrerebbero confermare il ritrovamento. Queste mappe riportano infatti l’esistenza di monumenti esattamente nelle stesse posizioni indicate dall’archeologa statunitense.
Nonostante la suggestione provocata da questa notizia e da tutto quello che da sempre ruota attorno alla civiltà degli egizi, solo una campagna di scavo potrà realmente rivelare se sotto quelle dune si nasconde la più grande piramide egizia mai ritrovata.
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