In questi giorni si fa un gran parlare delle primarie nel PDL. Un’idea che ha trovato Berlusconi più o meno favorevole, benché non pochi punti rimangono oscuri in un meccanismo che di per sé è solo apparentemente fulcro di democrazia partecipata, prestandosi – come è ora – a strumentalizzazioni e imprecisioni tali da rendere lo strumento spesso del tutto inutile o arbitrario. E le primarie nel PD lo hanno dimostrato più volte.
Eppure anche nel Popolo delle Libertà ora si pensa di utilizzarle. Dopo la batosta alle amministrative, non è certamente più rinviabile a data incerta la riforma del partito di centrodestra, e non è più rinviabile la scelta, o quantomeno l’individuazione, di un successore politico del Premier. Anzi, per certi versi, l’opportunità è diventata necessità, e già il passo che si è fatto avanti con la designazione di Alfano quale segretario del partito appare un passo fondamentale, anche se non sufficiente.
Ecco dunque fare capolino le primarie, quantomeno per la scelta dei candidati da presentare alle elezioni e per la scelta della dirigenza di medio livello del partito. Ma è chiaro che prima di arrivare a strutturare il PDL secondo un meccanismo più democratico, è però opportuno rivedere la legge elettorale. Che personalmente – intendiamoci – non aborro nel suo complesso, ma che nemmeno stimo. Ci sono aspetti della normativa per i quali non simpatizzo; in particolare mi riferisco all’impossibilità di esercitare il diritto di preferenza sui candidati, che se da una parte potrebbe effettivamente impedire infiltrazioni deliquenziali nelle candidature, e dunque la possibilità che la criminalità organizzata imponga i propri sostenitori e fiancheggiatori, dall’altra non garantisce affatto contro gli inquinamenti, nel momento in cui il partito o i partiti sono corrotti a livello locale e danno indicazioni su candidati altrimenti impresentabili, sacrificando pari tempo il diritto dei cittadini di poter scegliere.
Perciò è di fondamentale importanza che si proceda alla riforma della legge elettorale. E sul punto diverse sono le prospettive. Personalmente prediligo il proporzionale con sbarramento al 4%, magari unitamente a una riforma dell’art. 67 Cost. che impedisca i ribaltoni. Alternativamente si potrebbe mutuare dalle comunali il meccanismo elettorale per l’elezione del sindaco e del consiglio, che non è proporzionale, ma che – si è visto – tutto sommato funziona. Perché dunque non utilizzarlo anche a livello nazionale?
Le primarie e la riforma della legge elettorale sono comunque due compiti diversi, che competono a due organi diversi. Ciononostante si compenetrano, perché entrambi esprimono il senso reale della democrazia. Il problema delle primarie è però differente: riguarda l’identità del partito e le sue scelte di fondo. È chiaro infatti che un meccanismo non chiaro, aperto alla cittadinanza, senza alcun filtro, è un meccanismo che non garantisce realmente le scelte identitarie del partito. Del resto, le primarie del Partito Democratico lo hanno dimostrato chiaramente: le scelte di fondo dei suoi elettori non hanno rispecchiato le scelte politiche del PD. Ecco perché ritengo opportuno che se primarie saranno, siano limitate a chi è tesserato. Perché non importa la quantità dei partecipanti, ma importa la loro qualità. È la qualità infatti che permette scelte ragionate, ponderate e realmente capaci di rispecchiare la volontà della base e l’identità dei valori propri dell’organizzazione politica. Diversamente avremmo un risultato arbitrario, falsato, gonfiato e magari inquinato dai furbetti di turno.
di Martino © 2011 Il Jester