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Le pro-choice amano l’aborto: «la più bella scelta della vita»

Creato il 29 marzo 2012 da Uccronline

Le pro-choice amano l’aborto: «la più bella scelta della vita»Che l’esperienza dell’aborto si ripercuota gravemente sullo stato psico fisico di chi vi si sottopone è ormai assodato. La letteratura scientifica gronda, infatti, di pubblicazioni che confermano l’esistenza di una vera e propria Sindrome Post Aborto (ne parliamo ampiamente in questa pagina).  Naturalmente, c’è chi non mastica volentieri evidenze tanto lampanti e, pur di tener accesa una battaglia ormai agli sgoccioli, fa di tutto per diffondere testimonianze “controcorrente”.

Una femminista pro-aborto, Florence Thomas, ha ricordato nel 2010 il momento della soppressione dell’essere umano che portava nel grembo con queste parole: «sollevata, un sollievo immenso. Questo tumore se n’era andato e io potei tornare a vivere».

Come non citare la pro-choice Jessica DelBalzo, che in questi giorni ha scritto: «Terminare una gravidanza non è un atto immorale, chi suggerisce che l’aborto debba essere raro implica che ci sia qualcosa di indesiderabile ad avere uno. Le donne che amano la loro libertà dovrebbero essere orgogliose di dire che a loro piace l’aborto. In realtà, esse dovrebbero venerarlo con tutto il cuore. L’aborto è il nostro ultimo rifugio, l’ultima, strumento definitivo, che protegge la nostra autonomia corporea. Come non amarlo?». La DelBalzo, riporta “LifeSiteNews”, ama solo sopprimere gli esseri umani nella loro prima fase della vita, ma odia profondamente l’adozione, che ritiene «non solo inutile, ma anche immorale».

Infine il caso di Amanda Chatel, giornalista freelance che ha di recente pubblicato la sua storia sul “The Gloss”, intitolandola: “L’aborto è stato la migliore scelta della mia vita”. Ne ha parlato anche “LifeSiteNews” riportando la notizia sul suo sito. Le notti che precedettero l’operazione, distesa con le mani sullo stomaco, chiedeva perdono chiamando per nome un bambino che, nonostante tutto, continuava a considerare solo un mucchio di cellule. Ha scritto: «Non è stata una decisione che volevo prendere, ma è stata la migliore della mia vita». Oggi ha un cane, dono dei suoi genitori dopo l’aborto, che considera come un figlio: «ha l’età che avrebbe il mio bambino se non avessi abortito», scrive. Si è persino tatuata il nome dell’animale sul braccio per ricordarsi che «qualche volta le decisioni più difficili finiscono per rivelarsi le migliori. Amanda ricorda di aver abortito il 27 marzo del 2005, Sabato Santo, come ha affermato più volte («Qualsiasi cosa faccia, questa data sarà radicata nella mia memoria per sempre», ha aggiunto). Credo sia importante menzionare un piccolo e significativo particolare: il 27 marzo 2005 era in realtà la domenica di Pasqua. Solo una svista trascurabile? Può darsi, ma il sospetto di una rimozione post traumatica continua, non so perché, a ronzarmi nella testa.

Filippo Chelli


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