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Le qualità

Creato il 27 gennaio 2011 da Stiven1986

Le qualitàIeri sera ho guardato Ausmerzen, vite indegne di essere vissute, di Marco Paolini. Con tutte le proporzioni del caso, mi è tornata in mente una discussione che pochi giorni fa ho affrontato su On the Nord, e il documento sull’immigrazione approvato all’Assemblea nazionale del Pd tenuta a Varese, dal quale riporto:

Il nodo politico da affrontare è più che “quanti” immigrati, “quali” immigrati. Porre la questione della qualità significa porre esplicitamente quella della selezione. Quasi tutte le politiche migratorie attuate nel mondo hanno in sé dosi massicce di selezione più o meno esplicite.

Gli italiani sono ansiosi di sapere “quali” stranieri vengono ammessi: la risposta deve essere “quelli che sono utili al paese” ed i perseguitati, le vittime, le persone la cui vita ed incolumità è in pericolo.

E come stabilire l’utilità di un immigrato?

Il principio è semplice, e consiste nell’attribuire al candidato un punteggio per ogni caratteristica individuale di una determinata lista, e di farne la somma. Normalmente si prendono in considerazione età, stato civile, grado di istruzione, conoscenza della lingua, della cultura o dell’ordinamento, capacità di guadagno o di produrre reddito, specializzazione lavorativa, talenti particolari. Ma si può immaginare di attrezzarsi per considerare altri elementi: per esempio, la composizione della famiglia e le relative caratteristiche, l’esigenza di legami con il paese, eventuali programmi (comprovabili) di inserimento. Naturalmente l’attribuzione del punteggio non deve essere distorta da elementi discriminatori: genere, razza, religione, opinioni, provenienza geografica.

Insomma,

un metro di giudizio complesso, ma che si basa essenzialmente sul presunto contributo che una determinata “qualità” o “caratteristica” del candidato dà allo sviluppo della società e dell’economia e alla sua capacità di essere partecipe della società stessa (inclusione, integrazione, interazione…).

(Poi c’è anche la parte degli aiuti a casa loro).

Il problema è quello di stabilire quali sono i parametri di valutazione. In questo caso, si sceglie “la qualità della persona”, che sembra potersi riassumere in 1. utilità economica e capacità di produrre reddito 2. capacità di integrazione 3. altre, come l’età e lo stato civile. Naturalmente – si aggiunge nel documento - l’attribuzione del punteggio non deve essere distorta da elementi discriminatori: genere, razza, religione, opinioni, provenienza geografica. Come se la provenienza geografica, che sta alla base di tutte le altre, non fosse determinante per valutare la capacità di produrre reddito e la capacità di integrazione.

La provenienza geografica, alla fine, risulterà una discriminante fondamentale, perché come possiamo pensare che da essa non dipenda il grado di istruzione, la conoscenza della lingua, della cultura e dell’ordinamento (italiano), la capacità di guadagno, la specializzazione lavorativa? Quindi, in ultimo, per la “legge dei grandi numeri”, siccome uno Stato ragiona sui grandi numeri, non sarà concesso ad alcune persone di immaginare un futuro migliore, perché sono nate in un posto del mondo che offre poche opportunità per essere di qualità.

Ieri, Paolini raccontava che quelle che sono considerate “le mancanze di una persona”, a destra sono storicamente fatte risalire al DNA, a sinistra alla società in cui la persona si è formata.

Ad ogni modo, come possiamo pensare di escludere chi non ha determinate qualità, chi non può essere utile?

Questo per dire che io la soluzione non ce l’ho, ma che questa cosa non mi sembra di sinistra. Sarà riformista e io troppo salottiero (ora si dice così, salottiero)? Possiamo discuterne.

La foto ritrae Ernst Lossa.



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