Le quattro morti dell'anarchico Giovanni Passannante. Storie per non dimenticare
Creato il 15 giugno 2013 da Massimoconsorti
@massimoconsorti
Degli ordini del giorno dei “quattro dell'Ave Maria” europea ci interessa poco o nulla. Strombazzata ai quattro venti come l'evento dell'anno, la riunione dei premier di Italia, Francia, Germania e Spagna (sembra una vecchia barzelletta ma non lo è), avrebbe dovuto rappresentare il primo passo concreto per porre un rimedio alla disoccupazione, soprattutto quella giovanile. Ne è venuto fuori il solito 'beneintenzionario' che non approderà a nulla. LettaLetta ne ha guadagnato in immagine, ma finisce tutto qui, tranquilli ragazzi, forse ci penserà lo zio. Della storia di Giovanni Passannante, invece, ce ne ha parlato ieri sera Andrea Satta dei Têtes de Bois, arrivati dalle nostre parti per il Festival dedicato a Léo Ferré. La vicenda dell'anarchico che morì quattro volte, iniziata il 17 novembre del 1878 con l'attentato al re d'Italia Umberto I° di Savoia, si è conclusa solo nel 2007 quando, con un atto di 'umana pietà', quello che era rimasto di lui, il cervello, venne finalmente deposto in una tomba. Perché tirarla fuori oggi? Lo capirete alla fine del post. Dunque. Passannante era un anarchico e in quel tempo, il nemico numero uno degli anarchici di tutto il mondo era il Re, l'emblema dello Stato da abbattere. Passannante era l'ultimo di 10 figli, di cui quattro morti 'per fame' in tenera età. Con una mano invalida a causa dell'acqua bollente, il futuro anarchico riuscì a finire la prima elementare poi, tutto il resto, lo fece da sé. Leggi che ti leggi, studia che ti studi, Passannante abbracciò l'anarchia e si mise in testa di far fuori il Re. L'occasione arrivò, appunto, il 17 novembre, a Napoli. Il mingherlino invalido, saltò addosso a Umberto I° brandendo un coltellino (non una mannaia) con il quale riuscì a ferire sua maestà al braccio sinistro: incolume la regina Margherita alla quale i napoletani avevano dedicato una pizza. Da quel momento inizia un calvario che finirà solo più di un secolo dopo. Condannato a morte, per grazia del Re la pena venne commutata nell'ergastolo da scontare nel carcere di Portoferraio, sull'Isola d'Elba. Nel frattempo, però, tutta la famiglia di Passannante era stata giudicata “folle” e rinchiusa nel manicomio criminale di Aversa. Il Re, incazzatissimo, cambiò perfino il nome del paese natio dell'attentatore, da Salvia in Savoia, a futura memoria e monito. Passannante trascorse quattordici anni in isolamento. In una cella più bassa della sua altezza. Legato a una catena di venti centimetri fissata al muro. In quelle condizioni, si ammalò di tutte le malattie possibili, fino a diventare cieco e impazzire subito dopo. Da pazzo, venne trasferito nel manicomio criminale di Montelupo Fiorentino dove, il 14 febbraio 1910, morì. Uno dice: 'è morto, finirà qui'. Invece no. Sempre come monito a futura memoria, al cadavere di Passannanti fu mozzata la testa, mentre il resto del corpo venne dato in pasto ai cani. Messo sotto formalina, il cervello dell'attentatore, in ossequio alle teorie lombrosiane, venne portato a Roma per essere esposto al Museo Criminologico dove è rimasto fino al 2007. Cosa è accaduto nel frattempo? È successo che un manipolo di inguaribili e un po' romantici anarchici italiani, si mettesse in testa di dare a quel cervello una degna sepoltura, di riportalo a casa e seppellirlo come ogni essere umano quando se ne rispetta la dignità. Quel manipolo, fra cui Andrea Satta e Alessandro De Feodell'Espresso, portarono avanti interrogazioni ministeriali a tutto spiano, ricevendo una serie di 'no' immaginabili e qualche 'ni' meno atteso. Castelli disse no. Mentre i ni arrivarono da Diliberto e pure da Rutelli, investito della questione come ministro della cultura. Nonostante si fosse addivenuti a un accordo, fino alla fine Passannanti (o quello che restava di lui), ha dovuto vedersela con il pregiudizio anti-anarchico. Così, mentre in molti si aspettavano uno straccio di cerimonia pubblica per un atto di giustizia così tardivo, il sindaco di Savoia (Salvia) di Lucania, ha preferito adottare il low-profile, con una sepoltura fatta quasi di nascosto e in silenzio. Come vedete, cari amici e lettori di questo blog “birichino”, quando si parla di diritti umani e di rispetto della dignità dell'uomo, le chiavi di lettura possono essere molteplici. Così come tante e variegate sono le posizioni sulle “morti che rendono tutti uguali”. Sarà anche vero, ma dipende dai punti di vista. Soprattutto dipende se i corpi sono stati gettati o meno in pasto ai cani o passati per le armi davanti a un plotone di esecuzione. I morti non sono tutti uguali, lo sapeva il ministro Castelli, lo sapevano Diliberto e Rutelli. L'unico a non saperlo resta Luciano Violante. E poi uno si chiede perché Tremaglia corse ad abbracciarlo.
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