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Le responsabilità dello Stato nella lotta alla mafia

Creato il 16 gennaio 2015 da Libera E Forte @liberaeforte

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Nel 1900 Luigi Sturzo definiva il fenomeno mafioso un potere “che stringe nei suoi tentacoli giustizia, polizia, amministrazione, politica” e che “ha i piedi in Sicilia ma afferra anche Roma, penetra nei gabinetti ministeriali, nei corridoi di Montecitorio viola segreti, sottrae documenti, costringe uomini, creduti fior d’onestà, ad atti disonoranti e violenti”. Dalle sue parole ci rendiamo conto che in più di un secolo sono stati fatti ben pochi passi avanti.

Che la criminalità organizzata costituisca una presenza concreta e radicata su tutto il territorio nazionale ne abbiamo infatti avuto fin troppe testimonianze: le rivelazioni di Mafia Capitale sono l’ultimo capitolo di una lunga serie, a dimostrazione del fatto che le mafie non solo esistono, ma rappresentano “una seria realtà, si muovono coerentemente con i propri criminosi obiettivi, fanno il loro lavoro”.

E sul piano del contrasto possiamo essere sicuri che le Istituzioni facciano del loro meglio? Rispetto alla estensione e alla organizzazione capillare delle associazioni criminose “siamo altrettanto certi di poter affermare le stesse cose sul contrasto da parte dello Stato e delle sue articolazioni periferiche?”

Sul tema Rubbettino propone il volume “Stato e criminalità. Un rapporto non sempre dicotomico”, che raccoglie sedici saggi1 per riflettere “sul fenomeno mafioso, interrogare, avanzare dubbi, prospettare soluzioni, pungolare gli addetti ai lavori, in un’espressione essere politicamente scorretti”.

MC

1 I contributi raccolti sono di: Jacopo Armini, Vincenzo Boccia, Antonio Calabro, Luigi De Sena, Stefania Fuscagni, Maria Carmela Lanzetta, Marco Marchese, Angela Napoli, Vincenzo Olita, Riccardo Pedrizzi, Giuseppe Quattrocchi, Franco Roberti, Alfonso Ruffo, Ernesto U. Savona, Alberto Vannucci, Luigi Varratta.


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