Magazine Ecologia e Ambiente

Le scarpe che indossiamo segnano un’impronta

Creato il 22 ottobre 2010 da Rossellagrenci

Il laboratorio di Jesus nel 1963, in Spagna. Jesus è l'artigiano di Bioworld

Nel blog di GianBattista Belotti distributore di BioWord, dà un’idea alquanto chiara del “problema” scarpe. Ecologiche? Ergonomiche? Vegane. Leggete voi stessi.
 L’impronta economica
Il tipico paio di scarpe da 100 euro delle marche più famose (realizzato in Vietnam, India, Thailandia…) all’origine costa intorno 5-6 euro tra materiale e mano d’opera; gli altri 94 euro che escono dalle vostre tasche pagano solo marketing, intermediazioni e profitti.

Non va meglio con le scarpe economiche: la Cina in 1 anno ha venduto in Italia 156 milioni di paia a un prezzo medio di 3,42 euro a scarpa. Anche se le avete pagate solo tra i 15 e i 50 euro, è sempre molto più del loro valore e per giunta – tipicamente- vi sono durate un mese e mezzo e poi sono finite in pattumiera: significa 8 paia all’anno, sprecando non solo almeno 300 euro/anno ma anche molta materia ed energia.

Il vero affare non è comprare scarpe da poche decine di euro, ma

ridurre al minimo le intermediazioni
scegliere scarpe durevoli.
Bioworld sono calzature artigianali di qualità, destinate a durare a lungo, e costano meno di quelle industriali delle marche pubblicizzate.

L’impronta ecologica
L’industria calzaturiera è una delle più inquinanti e molto spesso utilizza pelli che provengono da allevamenti illegali nell’Amazzonia disboscata.

La pelle utilizzata per Bioworld proviene da allevamenti spagnoli e viene conciata “al vegetale” senza l’utilizzo di cromo e altri metalli pesanti in una piccola conceria artigianale, anch’essa spagnola.

Per i consumatori che non vogliono utilizzare elementi animali nell’abbigliamento viene utilizzata “Lorica”, la microfibra di lavorazione italiana più innovativa sia in termini di tecnologie utilizzate e prodotto ottenuto, sia in termini di salvaguardia della salute dell’uomo e dell’ambiente.

L’impronta sociale
Molte aziende calzaturiere cedono la produzione a terzisti per poter aggirare i doveri sindacali o delocalizzano le produzioni in paesi del sud del mondo per abbattere i costi ed aumentare i profitti.

Il resto lo trovate qui


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