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Le serate di Marguerite

Creato il 31 maggio 2011 da Dragor

Images    L’altra sera ho sentito venire dalla  camera di mia suocera Marguerite, 84 anni, il tempo inconfondibile della danza reale. E’ attorno a questa danza che i rwandesi si sono riuniti per conservare la loro identità durante gli anni dell’esilio. Ci sono varie scuole di danza, ma il tempo è lo stesso. Immaginate un 6/8 lento, simile a una barcarola o a una siciliana. Contate mentalmente fino a 6, ma per ogni misura marcate battendo le mani soltanto i primi 3 ottavi: il primo forte, il secondo debole, il terzo forte. Gli altri 3 non si marcano con il suono, sono affidati ai movimenti delle danzatrici.

   Così sono andato sulla soglia della camera di Marguerite e ho visto il delizioso spettacolo che conosco bene: le 2 figlie di mia cognata Immaculée di 8 e 10 anni (il padre, tedesco, era un appassionato di moto che durante il Rallye del Rwanda ha preso male una curva ed è precipitato in un burrone di 3000 metri stile Vil Coyote) e Alice, una bambina di 12 anni che Marguerite ha cresciuto come una figlia, eseguire in perfetta sincronia i leggiadri movimenti della danza reale, spiegando le braccia nella figura che ricorda le ali delle gru coronate durante la danza nuziale. Seduta sull’orlo del letto, Marguerite marcava il tempo battendo il suo enorme bastone sul pavimento come i direttori d’orchestra europei del XVII secolo. Ogni tando tendeva il bastone per correggere con un tocco delicato la posizione di un braccio o di un piede, perché Marguerite non transige: la danza reale dev’essere perfetta. Non si può perdonare un errore alla presenza del Mwami. 

   Dopo la danza, le bambine snobbano i 40 canali della nuova TV che ho messo nel soggiorno e che ci tengono in contatto con il resto del mondo. Preferiscono accoccolarsi sul materasso che Marguerite ha fatto sistemare vicino al letto e imparano le canzoni della tradizione rwandese. Ascoltano le antiche leggende (quella di Ryangombe, il mitico re che ha plasmato il Rwanda, quella della Folgore, del Tuono e della Morte, quella di Tutuba, il bisnonno che voleva diventare re ed è andato in esilio in Uganda dove ha fondato il suo regno, quella della luna che ci guarda perché cerca sua figlia). Ascoltano   affascinate  il racconto di quando Marguerite ha danzato davanti a Mutara III, scelta con le 20 fanciulle più belle e nobili del reame. “Grazie alla carnagione”, ci tiene a specificare. “Non doveva avere la minima impurità.”  Protette dal sole, nutrite con latte e carne trita, le fanciulle venivano esaminate da 3 commissioni prima di essere dichiarate idonee per la presentazione al re. Le 20 elette ricevevano il “mushanana”, la tunica  del corpo di ballo, e il diadema con il medaglione sulla fronte. I movimenti della danza sono stabiliti in modo che le danzatrici guardino sempre di lato, perché è proibito guardare il re negli occhi. Ecco perché il loro sorriso, rivolto a nessuno in particolare, sembra ambiguo come quello della Gioconda.

   Ma il momento più toccante è quando Marguerite si alza in tutta la sua maestosa statura (è alta quasi 2 metri) e accenna i movimenti della danza per insegnarli alle bambine, spiegando le immense braccia come le ali delle gru in amore, battendo il tallone nudo così da marcare il primo e il terzo ottavo di ogni misura. Li accenna soltanto, perché l’età non le concede di più, ma basta per rievocare il palazzo reale di Nyanza, Mutara con il suo casco di lunghi crini di leone seduto sul trono fra i dignitari di corte, le 20 fanciulle in tunica e diadema che ondeggiano lente guardando a destra e a sinistra con il loro ambiguo sorriso, e fra loro, più alta e più bella di tutte, la giovane Mukagatare, il vero nome di Marguerite…

   Grande, immensa Marguerite. Vedendola con le sue nipotine e la sua pupilla, l’altra sera ho pensato: Marguerite è una madre. Mi sono sentito in colpa, per avere cacciato la maggior parte dei suoi figli adottivi, anche se ormai sono diventati abbastanza grandi per badare a se stessi.  E’ nata per essere madre. Questo spiega tutto: come ha avuto 12 figli, di cui 9 in esilio, mettendoli al mondo da sola in condizioni nelle quali il buon senso avrebbe suggerito di non averne nemmeno 1. Spiega come, finito di crescere i suoi figli, abbia cresciuto quelli degli altri, a cominciare dai nipoti che le madri le affidano volentieri (molti la chiamano “mamma” mentre chiamano per nome la vera madre) e accettando qualunque bambino le venisse “dimenticato” in casa da gente che magari stava meglio di lei, benché le magre risorse della famiglia in esilio non bastassero nemmeno per i membri del gruppo familiare.

 

   Così oggi Marguerite si ritrova alla testa di un impero. I membri della famiglia sono sparsi per il mondo, ma mantengono i contatti con la matriarca grazie al cellulare che lei usa con la disinvoltura di una sedicenne, preferendo l’opzione “altoparlante” con il telefono posato sul tavolo.  E’ come se il mondo intero fosse la sua cucina, il tradizionale luogo di riunione. Nel 2007, quando abbiamo fatto la riunione familiare a Falsled, in Danimarca, eravamo quasi 60 fra figli, nipoti e pronipoti, e ne mancavano molti. In tutti gli anni dell’esilio e della riconquista, Marguerite è stata per tutti la figura centrale, il pilastro. la colonna, il punto di riferimento obbligato. Il marito Donat, un sorridente country gentleman irlandese deliziosamente fuori dal mondo come ogni vero aristocratico, era più che altro una sua propaggine. Che cosa sarebbe la famiglia senza di lei? Che cosa sarà? Non voglio pensarci. Ma quando vedo le bambine addormentarsi raggomitolate sul materasso vicino al grande letto della nonna, sazie di danza, di storie e  di leggende, penso che Marguerite vivrà per sempre.

   Dragor  


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