“La vera cultura è mettere radici e sradicarsi. Mettere radici nel più profondo della terra natia. Nella sua eredità spirituale. Ma è anche sradicarsi e cioè aprirsi alla pioggia e al sole, ai fecondi rapporti delle civiltà straniere”
Léopold Sédar Senghor, poeta, scrittore, ideologo della negritude, primo presidente della Repubblica del Senegal
Le premesse
Già uscito dal dittico Europa-America con i mondiali di USA 94, il mondiale inaugura la stagione dell’alternanza e, dopo France 98, torna in Paesi “di minore tradizione calcistica” (diciamo così). Per l’occasione, il mondiale presenta anche la novità della doppia sede (Corea del Sud-Giappone), anche se di qui al 2022 (per lo meno) non si ripeterà. Speriamo che non succeda più neanche dopo, perché doppio Paese ospitante significa attenzione degli arbitri per due padroni di casa, doppio sorteggio pilotato per non perdere gli organizzatori al primo turno, ecc… Nella fattispecie, l’occhio di riguardo degli arbitri si appunterà sulla Corea del Sud, abbandonando un poco di più il Giappone al suo destino, e noi kamikaze de L’Undici abbozzeremo anche una spiegazione (stay tuned).
Nel caso della Corea, sarà però qualcosa di aberrante, da fare impallidire anche il ricordo del mitico verdetto con cui Park Si-Un eliminò prima Nardiello e poi Jones alle Olimpiadi di Seul ’88 (beh, non fino a quel punto, ma quasi).
Mondiali mattutini causa fuso orario, si gioca alle 7.30, alle 10.30 ed alle 12.30 ora italiana (memorabile un maxischermo in Trafalgar Square, quindi addirittura ora di Greenwich, per Inghilterra-Brasile, in cui contro il foggy sky londinese 90’ di una beata minchia), scatenando livelli di assenteismo negli uffici, che neanche il Mundial del 1970 con Giggirriva bomber al petrolchimico di Ottana.
Ma come è buona regola, partiamo dall’inizio. Torna ai mondiali la Costarica che aveva impressionato all’esordio a Italia ’90 sotto la guida di Bora Milutinovic; il quale Bora-Bora non può stare fermo in un posto ed è ormai sbarcato in Cina, che qualifica - manco a dirlo - al suo primo mondiale. I suoi miracoli però finiscono qui, perché dopo Messico, Costarica, USA e Nigeria, fallisce il passaggio del turno. Troverà anche in questo caso modo di piazzare la battuta epocale: “Prima dei mondiali, il buon dio mi ha chiesto che desiderio volevo che mi esaudisse. Signore, gli ho detto, facci segnare tanti gol quanti la Francia campione. E lui, che mi ama, mi ha accontentato. Come potevo immaginare che la Francia ne avrebbe fatti zero?”
Sì, perché – incredibile ma vero – la Francia campione mondiale, campione europea e vincitrice della Confederation Cup l’anno prima, si presenta così svogliata e così spuntata (nonostante un tridente formato da Zidane, Trezeguet ed Henry, tutti vincitori durante la stagione), da uscire al primo turno, con la bellezza di un punto e zero gol fatti!
Fallisce anche l’Argentina, nonostante le iperboli di Italo Cucci dopo lo striminzito 1-0 inaugurale con la Nigeria, per una squadra che “gioca per la Patria ed il suo popolo dopo i disastri causati dalla sinistra” (fuga del presidente de la Rúa, ennesimo default finanziario, 3 nuovi presidenti in 6 mesi); è un’Argentina guidata da el loco Bielsa che a me, non me ne vogliano gli amici cileni e nemmeno quelli baschi, è sempre sembrato molto sopravvalutato, e che gioca con una marea di mezze seghe (Ortega, Aimar, …) che dovrebbero rinverdire il mito di Maradona e che riescono invece solo ad attorcigliarsi in inutili dribbling.
Uno di questi due gemelli ha vinto due Oscar, l’altro spera in due mondiali.
E il Brasile finalista nelle ultime due edizioni? Il Brasile arriva con un po’ di cerotti, qualificato solo agli spareggi di zona e dopo avere chiamato al proprio capezzale Felipao Scolari, un po’ Gilberto Govi, un po’ Gene Hackman (anche per il sense of humor), che riesce a salvare il salvabile.
Uno di questi due gemelli ha vinto due Oscar, l’altro spera in due mondiali.
E la Germania? Vecchia, logora, con pochi ricambi e non sempre all’altezza. Va bene, resta solo l’Italia. Sì, l’Italia sembra solida; affidata al senso estetico del Trap (!), è l’espressione di quello che ai tempi è senza dubbio il campionato più difficile del mondo (l’anno dopo il movimento piazzerà tre semifinaliste su quattro e due finaliste su due in Champions… Tempus fugit), con il tridente Totti-Del Piero-Vieri in gran spolvero. Ma finirà schiacciata tra acqua di Lourdes, incomprensioni tecniche (Doni e Coco titolari) ma, soprattutto, decisioni arbitrali da incubo.
Dal punto di vista degli arbitri, oltre a un mundial “coreano” (nel senso di giurie del pugilato a Seul ’88), sarà anche un mondiale di rigori fiscali che per chiunque abbia giocato a calcio sembrano invenzioni dell’arbitro (Panucci con la Corea, Hierro con l’Irlanda), ma che a norma di regolamento ci stanno.
Insomma: niente Francia, niente Italia, niente Germania, niente Argentina… Di chi parliamo in questo mondiale, della Cina di Bora Bora? Un attimo di pazienza; vediamo il primo turno, magari ci viene qualche ispirazione.
Come va il mondiale
La partita d’esordio, che per l’ultima volta vede impegnata come tradizione i campioni in carica (da Germania 2006 apriranno i padroni di casa), fa subito il botto, visto che un organizzatissimo, potentissimo e fantasiosissimo Senegal, reduce da una strepitosa Coppa d’Africa tre mesi prima, batte con merito la Francia. Che non si riprenderà dallo shock e ci lascerà le penne, eliminata dalla sua ex-colonia e dalla Danimarca. Altra (mezza) sorpresa si ha con Corea Sud e USA che fanno fuori due europee: il solito Portogallo pre-Cristiano Ronaldo, 1.000 passaggi e zero tiri in porta, ed una grigissima Polonia. Detto del pinchazo argentino (passano Svezia e Inghilterra), si assiste ad una qualificazione abbastanza comoda per Spagna e Paraguay, Irlanda e Germania, Giappone e Belgio. Il Brasile si complica la vita nell’esordio con la Turchia (sotto 0-1), ma riuscirà a ribaltare il risultato anche grazie ad un rigore inesistente (fallo fuori area), in una partita diventata famosa per un’imbarazzante simulazione di Rivaldo, che fa espellere anche un avversario (la Turchia chiude in 9). Dopodiché, fa passerella nei due successivi incontri e chiude stra-primo e con una robusta differenza reti (+8).
L’Italia vince in scioltezza l’esordio con l’Ecuador (2-0, double di Vieri), perde una partita da piccola bottega degli orrori con la Croazia, tra gol di sponda dei nostri avversari e gol buoni annullati a noi, e si riduce a cercare il punticino per la qualificazione da seconda con il Messico. Punticino che arriva a 5’ dalla fine grazie a un gol del subentrato Del Piero.
Fronte spaziosa, sguardo ispirato, questo grande arbitro finirà la sua carriera al gabbio per narcotraffico.
Gli orrori italici proseguono però agli ottavi con la Corea, dove prima Buffon para un rigore, Vieri ci adelanta tanto per cambiare (7 degli ultimi 10 gol azzurri ai mondiali portano la sua firma), ma siamo così fessi da farci pareggiare dai padroni di casa a due minuti dalla fine. Ai supplementari sale in cattedra Byron Moreno, arbitro ecuadoregno che sembra scappato fuori dai mondiali del ’54. L’ineffabile annulla un gol buono agli azzurri ed espelle Totti al 103’, prima che il “perugino” Ahn segni il golden goal che ci elimina, a tre minuti dai rigori. Con questo goal Ahn finisce dritto-dritto nell’empireo coreano, immortalato tra i momenti epici della recente storia patria nello straordinario “Old Boy” di Park Chan-wook, ma contestualmente perde il lavoro, perché il vulcanico Gaucci lo licenzia in tronco per il nervoso. Al di là della giusta indignazione per un furto sportivo in piena regola, va detto che Moreno fino al 90’ non ha fatto nulla per indirizzare la partita, che dopo gli scoppiettanti 30’ iniziali con l’Ecuador l’unico schema che la Nazionale mette in mostra è Trapattoni che sparge acqua di Lourdes regalatagli da sua zia suora e che insomma, Moreno o no saremmo andati poco lontani.
Chiudiamo il mondiale con una vittoria contro la seconda peggior squadra dei mondiali (con la peggiore, la Croazia, riusciamo invece a perdere), un pareggio in extremis contro il Messico fuori come noi agli ottavi, e due sconfitte. Dalla nostra, va detto, il non banale particolare di qualcosa come quattro gol validi annullati tra Croazia e Corea.
Gli ottavi proseguono con qualche altra sorpresa, tra cui la Turchia, che sovverte il pronostico e regola gli altri padroni di casa del Giappone. E qui sorge spontanea una domanda: ma come, un’organizzazione capace di mandare un Byron Moreno qualsiasi a far fuori l’Italia, non riesce ad indirizzare l’incontro contro i parvenu della Turchia? Parvenu, sì. ma baciati dalla sorte di avere come designatore degli arbitri FIFA un compatriota. Il quale, da levantino non proprio nato ieri, manda a dirigere l’ottavo Giappone-Turchia nientemeno che Pierluigi Collina, uno che notoriamente se ne infischia delle pressioni, arbitra come va fatto e verrà poi ricompensato (anche giustamente, trattandosi del migliore) con la designazione per la finalissima, 24 anni dopo Sergio Gonella.
Gli ottavi salutano il passaggio del turno anche di Germania, Brasile, Spagna, Inghilterra, USA (sul Messico. Cade anche l’ultimo motivo di orgoglio dei tanti chicanos emigrati negli Stati Uniti, la superiorità nel gioco del calcio), e vedono proseguire il momento d’oro del Senegal, che manda a casa in rimonta la Svezia (2-1). Dopo la epocale vittoria all’esordio contro gli ex-padroni, il rocambolesco 3-3 con l’Uruguay (avanti 3-0, si fanno pareggiare da un rigore di Recoba nel finale) e la eliminazione di sudden death della Svezia, il Senegal è la squadra che caratterizza in positivo il primo mondiale asiatico della storia. Vediamola da più vicino.
Bruno “Le Marabout” Metsu. Indovinate qual è (aiutino: non ha le cuffie).
Il Senegal
Il Senegal entra nei radar del calcio internazionale quando qualche mese prima da perfetta sconosciuta arriva in finale in Coppa d’Africa, perdendola solo ai rigori con il Camerun campione in carica. È una squadra di giocatori che militano in Francia, molti in serie cadetta, con un paio di eccezioni nel campionato suisse. Il suo mentore è Bruno Metsu, uno sconosciuto allenatore francese elegante e belloccio, da cui tutto ti potresti aspettare, tranne che si riveli un tattico attento e un fine psicologo, in uno spogliatoio in cui è abbastanza usuale che ogni giocatore abbia un suo consigliere spirituale (il “marabutto”) a levare il malocchio. Metsu non fa neanche un plissè, anzi si integra sempre di più nel nuovo mondo, sposa una senegalese di credo musulmano e si converte all’islam con il nome di Abdoul Karim. Metsu e il Senegal seguono alla lettera le indicazioni del padre della Patria, Leopold Senghor: radicarsi e sradicarsi al tempo stesso, aprirsi (a vicenda) ai fecondi rapporti con lo straniero.
Il marabutto dei marabutti schiera il suo Senegal con un 4-4-1-1 piuttosto elastico, soprattutto in attacco. Il più delle volte, affida l’intero fronte d’attacco ad Hadji Diouf, più ala che punta vera e propria, ma con la giusta tecnica, velocità e cattiveria agonistica per mettere in pensiero le difese avversarie. Alle spalle di Diuof, un centrocampista, Bouba Diop, a dare una mano più al centrocampo che all’attaccante. Altre volte, Diouf parte all’ala e la squadra assomiglia più a un 4-4-2, con Fadiga come mezzapunta genialoide e la prestanza fisica di Bouba Diop sfruttata come ariete, per aprire le difese.
Il centrocampo è completato da due mediani incontristi entrambi con passato da difensori centrali, una moda abbastanza diffusa in quegli anni (inaugurata da Rijkard nella Olanda e nel Milan di Sacchi, poi Desailly nella Francia e nel Milan di Capello, Hierro in Spagna e Madrid, …) e da una difesa a quattro in linea, con begli interventi in anticipo da panterone nere e poche ma sentite proiezioni offensive degli esterni (tra cui si annida anche Ferdinad Coly, che vedremo poi transitare a Perugia e Parma). In porta il sicuro Sylva.
4-4-1-1, ma i ruoli in attacco sono abbastanza random.
Squadra di ordine in difesa e anarchia in attacco, il Senegal di Metsu ricorda (molto) vagamente la “confusione organizzata” che faceva Fascetti con il Lecce della prima promozione in A.
Con questa disposizione e le accelerazioni di Diouf, il Senegal mette in mostra ripartenze feroci che spaccano in due le difese avversarie (riguardatevi i 7 gol segnati a Giappone-Corea 2002, uno più bello dell’altro).
Le stelle di questa squadra si riveleranno essere Hadji Diouf, attaccante anarchico in campo e puttaniere fuori, che proseguirà la sua carriera al Liverpool all’indomani dei mondiali, ed Henry Camara, ala destra velocissima che inizia i mondiali in panchina, ma sarà l’autore dei gol più pesanti. Sempre in bilico tra il crollo e il miracolo, questo Senegal sarà l’ultima vittima mondiale della tutto sommato inutile sudden death voluta da Platini. Questa bellissima squadra però scomparirà velocemente, non supportata da una generazione in grado di raccogliere il testimone. Ma dopo l’exploit del Camerun nel 1990 e lo sfortunato mondiale della Nigeria quattro anni dopo, segna il nuovo risveglio dell’Africa che gioca a calcio: invitta nei tempi regolamentari, un ruolino di tutto rispetto, fatto di 2 vittorie, 2 pareggi ed una sconfitta, per 7 gol fatti e 6 subiti. Saprà raccoglierne l’eredità il Ghana nelle edizioni successive. Scomparirà presto anche il Marabutto Metsu, vittima di un cancro a 59 anni. Is to you, Bruno.
Scandal
Insomma, con il Senegal esce non solo la squadra simpatia del mondiale, ma anche una di quelle che giocava il calcio più divertente, più veloce, più “spazioso”. Alla finalissima arriveranno un Brasile che cresce di partita in partita ed una Germania che non si schioda da un tran tran che la vede vincere 1-0 senza brillare con il Paraguay negli ottavi, poi vincere 1-0 senza brillare con gli USA nei quarti, e finalmente vincere 1-0 senza brillare con la Corea del Sud in semi.
La Corea infatti, dopo avere battuto come abbiamo visto l’Italia, sconfigge ai quarti la Spagna con un altro arbitraggio di rito coreano, tra gol buoni annullati alle Furias Rojas e cinica lotteria dei rigori, prima di cadere con i crucconi, che avranno anche il freno a mano tirato, ma non si lasciano turlupinare (e poi, va bene due scandali consecutivi, ma c’è un limite anche all’indecenza).
La rivelazione vera alla fine sarà la Turchia, che eliminati come detto Giappone e Senegal si ritrova a giocare la semi contro i brasiliani, a lungo domati nella partita di esordio (ricordate?). Come nel 1994 con la Svezia, il Brasile torna a battere la squadra qualificata con lei al primo turno e con lo stesso 1-0 (vedi oltre); questa volta, con ben più merito di quasi un mese prima.
Le finali vedono quindi due nazionali storiche a contendersi il titolo e due assolute novità a giocare per il terzo posto. La tutela del potente designatore arbitrale continua a funzionare e la Turchia coglie uno storico terzo posto (3-2). La Corea di Gus Hiddink (comunque grande allenatore) è fuori dal podio, tra il sollievo generale di tutti gli appassionati di calcio, quantomeno di quelli italiani e spagnoli.
Nella finalissima, si scatenano Ronaldo e Rivaldo, Oliver Kahn mostra tutti i suoi anni ed è un 2-0 rotondo del Brasil, che alla terza finale consecutiva conquista “A Penta”. È un Brasile che in tutti gli episodi (rigore nel match inaugurale, gol inspiegabilmente annullato al Belgio sullo 0-0 negli ottavi, punizione-cross di Ronaldinho che Seaman accompagna in porta contro l’Inghilterra, palo dei tedeschi in finale ed 1-0 sull’azione successiva) è parecchio aiutato dalla sorte. Ma è anche un Brasile che Felipao Scolari prende in mano quando è a pezzi e che forgia cammin facendo, soprattutto in uomini chiave quali Ronaldinho ed i centrocampisti. Quello stesso Felipao che a giugno cercherà di eguagliare il suo sosia, vincendo il secondo Oscar personale.
Sono Ronie e in testa ho solo una cosa…
Il gol del mondiale
Il gol del mondiale non poteva segnarlo altri che Ronaldo Luís Nazário de Lima, l’uomo con più reti nella storia delle fasi finali (15, da Francia 1998 a Germania 2006). Nel 2002 sarà capocannoniere con 8 reti e Pallone d’oro mondiale. In Giappone-Corea sfoggia una nuova capigliatura che un monumentale, immaginifico Fiorello battezza come “a forma di pube”.
Grande giocatore, tecnico e potente, nel 2002 è già nella sua fase di appesantimento muscolare a seguito del (primo) grave infortunio al tendine rotuleo e ad un peso forma che inizia a scricchiolare, immolato al fuoco di una vita mondana non delle più tranquille (forse meno anarchico del Senegalese Diouf in campo, sicuramente riesce ad essere più puttaniere di lui fuori).
Nella semi con la Turchia, segna un gol memorabile. Intendiamoci, nella classifica dei gol di Ronaldo, questo per bellezza viene tranquillamente nella seconda centinaia, ma è lo stesso un gol memorabile.
Vediamolo assieme: Ronie riceve palla una decina di metri fuori area, salta subito il marcatore con un dribbling a uscire e si defila un po’ nell’ingresso in area. Un altro difensore lo accompagna aspettando la giocata, anche perché Ronaldo ha la palla abbastanza lontana dal piede, di sicuro non ha lo spazio per caricare e tentare il tiro di collo o a giro. Cosa farà? O cerca un filtrante per qualcuno che entra in area da dietro, o tenta l’ultimo dribbling per puntare in porta. E se dribbla, lo farà verso l’esterno o verso il centro dell’area? E mentre il difensore e tutti davanti alla Tv stiamo almanaccando sulla sua prossima mossa, Ronaldo fa la cosa più semplice del mondo, una cosa da calcetto, da oratorio. Avete visto bene, calcia di punta! Anticipa tutti e lascia di sasso il portiere, che capendone all’ultimo le intenzioni si tuffa tardi. Ronaldo decide la semifinale dei mondiali con una soluzione che, se la prova un bambino della scuola calcio del Barca Reno o del Low Ponte, il mister lo manda sotto la doccia a forza di sgridate. Ma la palla entra e Ronie ci uccella tutti: dal portiere Rustu (che per inciso gioca con due ridicole strisce di rimmel sotto gli occhi, nello stile dei wide receivers del football americano), all’ultimo dei telespettatori.
E chi segna, nel calcio, ha sempre ragione.