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Il presidente ucraino Petro Poroshenko, ha confermato che le truppe di Kiev si stanno ritirando («Una ritirata organizzata» ha detto) dalla città nevralgica di Debaltseve, polo ferroviario finora in mano al governo centrale, che unisce Donetsk a Lugansk ─ le due roccaforti del territorio controllato dai ribelli filorussi.
Nelle ultime ore, i combattimenti sono stati violenti e hanno permesso ai separatisti di prendere ampie fasce di territorio intorno alla città. Da ieri girano immagini di mezzi dell’esercito di Kiev abbandonati lungo le strade e soldati feriti e tremanti per il freddo, fatti prigionieri dai ribelli. Se qualcuno sta pensando alla tregua decisa mercoledì scorso dopo il vertice con Francia e Germania ed effettivamente entrata in vigore dalla mezzanotte di domenica, si metta l’anima in pace: a Debaltseve non è mai stata rispettata. In realtà è una guerra di nervi, e la tenuta generale del cessate il fuoco sembra molto precaria (ci sono stati spari anche a Mariupol nel frattempo). Però, sebbene l‘intesa di Minsk (la seconda, la prima si è visto che fine ha fatto) tra Francia Germania, Ucraina e Russia, sia un patto a voce, senza una firma su carta, in diverse altre aree, per il momento (che è una ovvia sottolineatura), sta funzionando.
Secondo il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, che ha plaudito alla concessione da parte dei ribelli di cibo e riparo ai militari ucraini catturati, l’azione dei separatisti a Debaltseve non ha violato l’accordo della scorsa settimana. In fondo, secondo Lavrov, la città era già praticamente in mano ai filorussi al momento dell’intesa e loro non hanno fatto altro che finire di prendersela ─ costatazione che la dice lunga sulle forze che possono destabilizzare il patto di Minsk. In precedenza, Putin aveva esortato i militari ucraini ad arrendersi ─ sì, il presidente di uno paese che esorta alla resa i militari di un altro, per favorire una formazione ribelle dalla quale però ha sempre preso le distanze (sembra l’inizio di un paradosso).
Un altro pezzo di quell’accordo, la Germania, ha fatto sapere che la vicenda di Debaltseve è una chiara violazione dei patti, ma che è presto per dire che l’intesa di Minsk è fallita (sì, sembra l’inizio di un altro paradosso).
Visto come stanno le cose, viene da chiedersi se è così come l’ufficio stampa della Cancelliera Merkel sostiene, oppure se la “questione Debaltseve” era stata esclusa dall’accordo ─ e si tratta di dichiarazioni “dovute”. Ma se fosse la seconda delle ipotesi, allora quali altre “questioni” sono state lasciate fuori?
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Quello che è sicuro, è che Poroshenko è stato fortemente indebolito dagli accordi di Minsk. La necessaria mediazione franco-tedesca, ha fatto capire al mondo che il presidente ucraino non è in grado di badare al suo popolo in modo indipendente dall’aiuto esterno ─ in realtà ne è uscita indebolita anche l’Europa, visto che Germania e Francia hanno agito in modo personale, segno evidente che una politica estera europea comune è ancora un’utopia (e pure la nostra Lady Pesc Mogherini, non è che ne esca rafforzata dall’iniziativa di Hollande e Merkel).
Se la pace reggerà (anche se il pluricitato “modello-Balcani” sembra molto una gufata che la porterà giù nel giro di pochi giorni), la Rada, il parlamento ucraino, dovrà approvare una risoluzione per indire elezioni speciali a Donetsk e Lugansk, che avranno una sorta di autonomia molto vicina al federalismo. Cosa secondo Poroshenko «inaccettabile» ─ più che altro inutile, perché, di fatto, non serve l’applicazione di una legge speciale in quei territori, visto che già adesso quelle aree sono completamente fuori dal controllo di Kiev e amministrate dai ribelli armati. Inoltre Kiev dovrà sbloccare i sussidi centralizzati verso queste zone e definire una ripartizione delle tasse. Solo allora potrà riavere il controllo del confine con la Russia (che ora come ora è il principale asset dei filorussi, che così riescono a ricevere i rifornimenti da Mosca, quelli che Putin continua a negare).
Poroshenko può pure non starci a parole («Inaccettabile»), ma ormai è chiaro che per rimettere in sesto il Paese, dovrà cedere su diverse cose. Almeno per adesso, almeno per salvare l’Ucraina: e intanto dal Fondo monetario internazionale, stanno arrivando 17 miliardi per evitare la bancarotta, perché a Kiev il problema “Est” è solo un pezzo ─ consistente, eh ─ del disastro. Il titolo di un articolo dell Foglio di qualche giorno fa (la firma è del bravissimo Daniele Raineri), spiega molto bene la situazione: “Kiev pigola e pare Kabul”. Ribelli separatisti, corruzione endemica, sistema politico debole, aiuti e interessi dall’esterno, ricordano molto l’Afghanistan. In mattinata un alto funzionario dell’esercito ucraino ha accusato i comandanti del 40° Battaglione (unità combattente molto impegnata nel conflitto), di aver compiuto una ritirata non autorizzata e di aver così prodotto il collasso del fronte da Debaltseve: altro pezzo à la Kabul, ci sono purequestioni interne all’esercito.
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