“Più trascorrono gli anni e più cresce la mia sensazione di disagio nel partecipare il 23 maggio e il 19 luglio alle pubbliche cerimonie commemorative delle stragi di Capaci e di via D'Amelio. La retorica di stato ha i suoi rigidi protocolli ed esige che il discorso pubblico venga epurato da ogni sconveniente riferimento alle travagliate vicende che segnarono le vite di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino, preparandone lentamente la morte.
Relegando nel fuori scena della storia quelle vicende, questa forma di autocensura consegna così alla memoria collettiva una narrazione tragica e, nello stesso tempo, semplice e pacificata, che si può riassumere nei seguenti termini: Giovanni Falcone e Paolo Borsellino furono assassinati perchè con il loro lavoro di integerrimi magistrati, culminato nelle condanne inflitte con il maxiprocesso, erano il simbolo di uno stato che aveva sferrato un colpo mortale a cosa nostra, mandando in frantumi il miti della sua invincibilità ”.
E, continua più avanti l'autrice Antonella Mascali
“Giovanni Falcone e Paolo Borsellino non sono eroi. E non volevano essere eroi. Erano e volevano essere servitori dello Stato. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono diventati martiri della Patria perchè sono stati lasciati soli. Perchè, come dice il procuratore Gian Carlo Caselli, ciascuno di noi non ha fatto il proprio dovere fino in fondo. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino erano magistrati isolati. Ostacolati. Calunniati.”
Qual'è allora, il modo migliore per ricordare veramente cosa sono stati Falcone e Borsellino, e tutti gli altri servitori dello Stato, morti nella battaglia per la legalità? Ricordare le loro parole, i loro discorsi, le loro interviste (che molte polemiche suscitarono), gli articoli sulle riviste. L'autrice ha voluto mettere insieme diversi interventi scritti negli anni dalla metà degli anni '80 fino al 1992: l'unica modo per comprendere meglio cosa intendessero Falcone e Borsellino quando parlano di giustizia, pentitismo, di lotta alla mafia, della mafia al nord, di credibilità di uno Stato e di questione meridionale è proprio rileggersi le loro parole.
Oggi in troppi riutilizzano la loro figura in contrapposizione di “eroi dell'antimafia” per metterli in contrasto a quei magistrati che, sempre nell'ennesima solitudine, stanno facendo oggi il loro dovere di uomini dello Stato. Penso a Gian Carlo Caselli, Antonio Ingroia, a Sergio Lari, Nino Di Matteo, Domenico Gozzo: Falcone sì che era garantista, che portava a processo prove certe che arrivavano a sentenza e non “teoremi”.
In realtà in questo libro se ne trovano due : l'introduzione del giudice Scarpinato è ben più della solita prefazione che apre saggi del genere, ma bensì una ricostruzione storica e politica della lotta alla mafia in Italia. Una lotta che è stata portata avanti sempre con mezzi e leggi di emergenza, poiché la mafia non è mai stata estranea al sistema di potere (criminale) delle nostre classi dirigenti. Più che di lotta alla mafia bisognerebbe infatti parlare di contenimento della mafia: la “convergenza di interessi” tra sistema politico e sistema mafioso ha partorito quei nefasti intrecci che poi (con grave ritardo) le sentenze della magistratura hanno stabilito. Negli anni '80, a seguito dei cadaveri eccellenti nelle istituzioni (Reina, Mattarella, La Torre, Dalla Chiesa, ma anche il giudice Terranova, il colonnello dei carabinieri Russo e il capitano Basile, il capo della squadra Mobile Boris Giuliano), a Palermo iniziò una stagione formidabile di inchieste, portate avanti dai magistrati del pool. Erano inchieste in cui la magistratura per la prima volta rivendicava un ruolo attivo (da “magistrati sceriffo” si disse) nel seguire le indagini sulla mafia criminale ma anche della mafia economica. Falcone seguì la pista dei soldi, partendo dalle indagini sul costruttore Spatola, per arrivare ad individuare le tracce del traffico di droga di cosa nostra con gli Stati Uniti. Per la prima volta lo Stato e le istituzioni e la magistratura sembravano voler riconquistarsi quella credibilità, quella terzietà, quel ruolo che la Costituzione sancisce. Erano finiti i “bei tempi” in cui il giudice istruttore non scopre nulla, che al massimo condanna qualche ruba galline, in cui si inauguravano gli anni giudiziari sostenendo la non esistenza della mafia. Il pool scoprì (ma forse questa è una parola grossa) quel “Contesto”, per dirla alla Sciascia fatto da amministratori, politici locali e nazionali, prefetti e questori, avvocati e imprenditori, mafiosi e collusi coi mafiosi, tutti a braccetto in un unica foto. Da qui partirono gli attacchi al pool e ai singoli magistrati: Torquemada, attentatori all'economia dell'isola, giudici politici che vogliono attaccare la Democrazia Cristiana, giudici sceriffi. Sembra incredibile, ma a Falcone e Borsellino, quelli che oggi vengono ricordati in pompa magna, negli anni '80 furono vittime di richiami dal CSM, di volgari campagne stampa. Attaccati sui giornali dal corvo (uno che sapeva troppe cose) e da comuni cittadini che rivendicavano un po' di quiete, senza quelle sirene.
Falcone, lo stesso che oggi viene messo ad esempio, in contrapposizione ai magistrati giustizialisti e presenzialisti, fu bocciato alla nomina di giudice istruttore, fu bocciato al Csm, alla carica di Ispettore anti mafia, alla carica di superprocuratore. Borsellino, se ne andò a Marsala ad aprire anche in quella parte dell'isola il filone delle inchieste sulle cosche, mai esplorato prima. E dopo la morte di Falcone, rimase ancora più solo: escluso dalle indagini dal capo Giammanco, non fu mai sentito dai pm di Caltanissetta. Quelli che poi seguirono la falsa pista Scarantino.
Conclude Scarpinato:
"La realtà che abbiamo vissuto e sofferto con Giovanni e Paolo racconta che, diversamente da quanto si ripete nelle cerimonie ufficiali, il male di mafia non è affatto solo fuori di noi, è anche 'tra noi'. Racconta che gli assassini e i loro complici non hanno solo i volti truci e crudeli di coloro che sulla scena dei delitti si sono sporcati le mani di sangue, ma anche i volti di tanti, di troppi sepolcri imbiancati. Un popolo di colletti bianchi che hanno frequentato le nostre stesse scuole e che affollano i migliori salotti: presidenti del Consiglio, ministri, parlamentari nazionali e regionali, presidenti della Regione siciliana, vertici dei servizi segreti e della polizia, alti magistrati, avvocati di grido dalle parcelle d'oro, personaggi apicali dell'economia e della finanza e molti altri. Tutte responsabilità penali certificate da sentenze definitive, costate lacrime e sangue, e tuttavia rimosse da una retorica pubblica e da un sistema dei media che, tranne poche eccezioni, illumina a viva luce solo la faccia del pianeta mafioso abitata dalla mafia popolare, quella del racket e degli stupefacenti, elevando una parte a simbolo del tutto."
L'elenco degli interventi raccolti:
- Cose di cosa nostra, Giovanni Falcone
- Discorso agli studenti dell'istituto tecnico di Bassano del Grappa tenuto da Paolo borsellino il 26 gennaio 1989 (un pezzo del video).
- La lettera ad una professoressa che Borsellino scrisse alle 5 di mattina il 19 luglio 1992.
- Recensione di Giovanni Falcone del libro di Saverio Lodato “10 anni di mafia” (qui il link per ordinare l'ultimo volume di Lodato).
- La mafia come antistato, intervento di Falcone al convegno “I problemi della criminalità organizzata” 1989.
- Intervento di Giovanni Falcone al dibattito organizzato a Palermo il 17 dicembre 1984 da Unità per la Costituzione.
- Contributo di Giovanni Falcone al titolo “Valutazioni probatorie relative al pentitismo” tenuto nel 1986 a Torino da parte dell'ANM.
- Il diario di Falcone, pubblicato da Liana Milella sul Sole 24 ore.
- L'articolo uscito nel 2002 su l'Unità di Saverio Lodato, sull'ultimo incontro con Falcone “La solitudine di Giovanni Falcone”.
- Prefazione di Falcone al libro “Estorti e riciclati”, libro bianco della confesercenti a cura di MassimoCecchini, Milano 1992.
- Intervista rilasciata da Paolo Borsellino ad Attilio Bolzoni “Il pool antimafia smantellato” (link); intervista rilasciata da Borsellino a Saverio Lodato il 20 luglio 1988 “Vogliono smantellare il pool antimafia” (link).
- Veglia per Giovanni Falcone, 23 giugno 1992, Palermo.
- Discorso tenuto alla biblioteca comunale di Palermo, il 25 giugno 1992.
- L'ultima intervista di Paolo Borsellino ai giornalisti Calvi e Moscardo il 21 maggio 1992.
- Intervista al TG5 con Lamberto Sposini il 25 giugno 1992.
- Discorso di commiato tenuto alla Procura di Marsala il 4 luglio 1992 “Me ne sono andato in punta di piedi”.
Pretesti di lettura
"Occorre evitare che si ritorni di nuovo indietro. Occorre dare un senso alla morte di Giovanni, della dolcissima Francesca, dei valorosi uomini della sua scorta. Sono morti tutti per noi, per gli ingiusti, abbiamo un grande debito verso di loro e dobbiamo pagarlo gioiosamente, continuando la loro opera. Facendo il nostro dovere; rispettando le leggi anche quelle che ci impongono sacrifici; rifiutando di trarre dal sistema mafioso anche i benefici...; collaborando con la giustizia; testimoniando i valori in cui crediamo, in cui dobbiamo credere, anche dentro le aule di giustizia... dimostrando a noi stessi e al mondo che Falcone è vivo."
Paolo Borsellino alla veglia per Giovanni Falcone, 23 giugno 1992.
"Mai avuto la tentazione di abbandonare questa lotta. L'unica cosa che chiederei è che questa tensione non venga mai meno. Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini."
Giovanni Falcone.
"C'è una trattativa tra la mafia e lo Stato dopo la strage di Capaci, c'è un colloquio tra la mafia e alcuni pezzi infedeli dello Stato, c'è questa contiguità tra mafia e pezzi deviati dello Stato [...] Mi ucciderà la mafia, ma saranno altri che mi faranno uccidere, la mafia mi ucciderà quando altri lo consentiranno [...]."
Paolo Borsellino durante un colloquio con la moglie.
"... lo Stato non si presenta con la faccia pulita [...] Che cosa si è fatto per dare allo Stato, in queste regioni e comunque dappertutto in Italia, un'immagine credibile? [...] la vera soluzione sta nell'invocare, nel lavorare perché uno Stato diventi più credibile, perché noi ci dobbiamo identificare di più in queste istituzioni."
Paolo Borsellino nel discorso tenuto agli studenti di Bassano del Grappa, 26 gennaio 1989.
"Il vigliacco muore più volte al giorno, il coraggioso una volta sola. L'importante non è stabilire se uno ha paura o meno. È saper convivere con la propria paura, non farsi condizionare dalla stessa. Il coraggio è questo, altrimenti non è più coraggio, è incoscienza."
Giovanni Falcone.
"È penoso quello che ho dovuto ascoltare nei corridoi di questo palazzo, constatare che, tranne pochi, tutti sono contenti per il fatto che me ne sto andando."
Giovanni Falcone, prima di lasciare la Procura di Palermo.
« All’inizio degli anni Settanta Cosa Nostra cominciò a diventare un’impresa anch’essa. Un’impresa nel senso che attraverso l’inserimento sempre più notevole, che a un certo punto diventò addirittura monopolistico, nel traffico di sostanze stupefacenti, Cosa Nostra cominciò a gestire una massa enorme di capitali. Una massa enorme di capitali dei quali, naturalmente, cercò lo sbocco. Cercò lo sbocco perché questi capitali in parte venivano esportati o depositati all’estero e allora così si spiega la vicinanza fra elementi di Cosa Nostra e certi finanzieri che si occupavano di questi movimenti di capitali, contestualmente Cosa Nostra cominciò a porsi il problema e ad effettuare investimenti. Naturalmente, per questa ragione, cominciò a seguire una via parallela e talvolta tangenziale all’industria operante anche nel Nord o a inserirsi in modo di poter utilizzare le capacità, quelle capacità imprenditoriali, al fine di far fruttificare questi capitali dei quali si erano trovati in possesso »
L'ultima intervista di Paolo Borsellino, dove parla della nuova mafia imprenditrice e di Mangano e Dell'Utri
"No, io non mi sento protetto dallo Stato."
Vi è stata una delega totale e inammissibile nei confronti della magistratura e delle forze dell'ordine a occuparsi esse solo del problema della mafia [...].
"L'equivoco su cui spesso si gioca è questo, si dice: quel politico era vicino a un mafioso, quel politico è stato accusato di avere interessi convergenti con l'organizzazione mafiosa, però la magistratura non l'ha condannato, quindi quel politico è un uomo onesto. Eh no! Questo discorso non va perchè la magistratura può fare soltanto un accertamento di carattere giudiziale. Può dire che ci sono sospetti, ci sono sospetti anche gravi, ma io non ho la certezza giuridica, giudiziaria che mi consente di dire che quest'uomo è mafioso. Però, siccome dalle indagini sono emersi tanti fatti del genere, altri organi, altri poteri, cioè i politici, cioè le organizzazioni disciplinari delle varie amministrazioni, cioè i consigli comunali, o quello che sia, dovevano già trarre le dovute conseguenze da queste vicinanze tra politici e mafiosi che non costituivano reato, ma rendevano comunque il politico inaffidabile nella gestione della cosa pubblica.
Questi giudizi non sono stati tratti perchè ci si è nascosti dietro lo schermo della sentenza. Si dice: questo tizio non è mai stato condannato, quindi è un uomo onesto... ma dimmi un poco... tu non ne conosci gente disonesta che non è mai stata condannata perchè non ci sono le prove per condannarla? C'è il forte sospetto che dovrebbe, quanto meno, indurre i partiti a fare grossa pulizia, a non soltanto essere onesti, ma apparire onesti facendo pulizia al loro interno di tutti coloro che sono raggiunti comunque da episodi e fatti inquientanti...".
Paolo Borsellino a uno studente di Bassano del Grappa, 26 gennaio 1989
La presentazione dell'autrice , perchè questo libro.
La scheda del libro sul sito di Chiarelettere editore. Il link per ordinare il libro su ibs.
Technorati: Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Antonella Mascali, RobertoScarpinato.