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Le violenze di Colonia e il rischio di una deriva multiculturalista

Creato il 13 gennaio 2016 da Animabella
Sulla vicenda di Colonia e delle aggressioni subite da moltissime donne la notte di capodanno in numerose città della Germania è stato detto molto, e non sempre purtroppo a proposito. Mentre aspettiamo di conoscere meglio quelle “modeste verità di fatto” di cui parlava Hannah Arendt e senza le quali è semplicemente impossibile esprimere un giudizio fondato, qualcosa si può dire invece sul dibattito che ne è seguito e che ha visto da un lato i beceri di casa nostra al grido: “le nostre donne non si toccano, cacciamoli via” (la stessa identica cultura degli aggressori: ognuno insomma molesti le proprie donne!) e dall'altro la dignità e il coraggio delle donne tedesche scese in piazza con lo slogan “no sessismo, no razzismo”.

La condanna senza se e senza ma delle violenze di Colonia non può e non deve tradursi, infatti, in una condanna di un gruppo etnico o nazionale, visto che i comportamenti, e tanto più i reati, sono individuali e non sono certamente determinati geneticamente. Gli individui che agiscono, però, sono portatori di una cultura che – al contrario dei geni – un ruolo fondamentale lo gioca eccome nel determinare il comportamento di quegli individui. Una cultura misogina, patriarcale e sessuofobica è nemica delle libertà delle donne e degli uomini, chiunque ne sia il portatore, se il caporale delle campagne nel ragusano o l'immigrato musulmano. O anche le donne stesse, spesso complici attive di una tale cultura, come le mogli dei caporali, che sanno delle violenze dei loro uomini nei confronti delle contadine rumene in Sicilia e tacciono. Parliamo del 2015 e della cattolicissima Italia. E tutto questo ha molto a che fare con la cultura tradizionale siciliana e con le sue radici cattoliche. La visione della donna e la sessuofobia del cattolicesimo sono mattoni essenziali della cultura patriarcale e misogina del Suditalia.
Dobbiamo difendere il “no al sessismo, no al razzismo” chiaro e inequivocabile dall'annacquamento multiculturalista in cui rischia di affogare, perché gli uomini e le donne in carne e ossa, sì, sono tutti uguali, ma le culture no, non lo sono. Ed esattamente come ogni giorno combattiamo contro la cultura cattolica tradizionale, misogina, patriarcale e sessuofobica, non possiamo non vedere il carattere altrettanto se non più misogino, patriarcale e sessuofobico dell'islam e non renderci conto che una immigrazione di massa di persone portatrici di una tale cultura rappresenta una sfida, da affrontare in modo intransigente con le armi della laicità, dell'eduzione, della scuola pubblica, dell'integrazione, e senza cessioni neanche minime a società parallele e comunità chiuse. Continuiamo, per fare solo un esempio, la lotta per eliminare l'insegnamento di ogni religione dalla scuola pubblica di ogni ordine e grado, e non cediamo invece alle pressioni di chi vuole aggiungere l'insegnamento dell'islam. La battaglia delle donne e degli uomini liberi e laici è ancora lunga e il pensiero reazionario riprende piede anche qui da noi.
In chiusura una provocazione. Dopo le violenze della notte di capodanno sono piovute centinaia di denunce. Mi chiedo: non è che anche noi donne occidentali siamo in parte succubi dell'idea che “gli altri” non ci possano toccare mentre dai “nostri” uomini tolleriamo comportamenti intollerabili? Non è che il coraggio di denunciare quelle donne lo hanno trovato proprio perché si trattava di gruppi di immigrati? E che forse lo stesso coraggio non ce l'hanno – forse perché consapevoli che non riceverebbero la stessa solidarietà – quando vengono molestate dai tedeschi ubriachi all'Oktoberfest, o magari dai loro mariti e compagni tra le mura domestiche, o dai tifosi inebriati da una vittoria o resi irascibili da una sconfitta, o in qualunque altra occasione in cui i “nostri” maschi si sentono in diritto di allungare le mani e noi taciamo?

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