Magazine Diario personale
Erano le 6 di mattina di un sabato invernale qualunque, lo scorso sabato. Io ero in cucina, davanti alla grande vetrata che dà sul cortile interno su cui affacciano altri 4, 5 palazzi. Era buio, ancora. Faceva freddo, quel freddo che sa di coperte appena lasciate, a forza. C'era silenzio, il silenzio di una città ancora sprofondata nel tepore del sonno. Noncurante di tutto ciò, Lorenzo si era svegliato. Piangendo, urlando, picchiando. Squarciando il dolce silenzio dell'alba. Adesso era seduto, buono buono, sul divano e mi guardava mentre cercavo di far connettere i due neuroni utili alla preparazione della sua colazione: prendere il biberon, versarvi 240 di latte, inserire al micro-onde e far scaldare 45 secondi, aggiungere 4 cucchiaini di farina di riso e agitare (o mescolare, caro James). L'ho fatto talmente tante volte che dovrei andare a memoria. Anzi, dovrebbe essere il biberon a far tutto, dovrebbe esserci abituato. E invece ero lì, tramortita dal sonno e dal freddo. Alla ricerca di ispirazione, allungo lo sguardo oltre il buio e mi accorgo che l'unica finestra illuminata è quella di fronte a me, quella del mio amico immaginario, single.
L'ho conosciuto quest'Estate, quando ho traslocato nel nuovo appartamento accompagnata da ondate di caldo africano. Prima di Lui ho visto Lei. Era lì, in tutta la sua statuaria bellezza, in balcone, con una canotta mignon e i microshorts infilati nel sedere e caricava la lavatrice. Era la sua fidanzata all'epoca, ma poi è sparita e adesso c'è solo Lui. Di Lui so solo che ama fare il sub, perché espone periodicamente la sua muta ai raggi del pallido sole invernale. Tutto il resto lo immagino, e lo immagino molto diverso da me. Lo immagino come se fosse la vita che ho lasciato.
Sabato mattina all'alba era in cucina che si faceva un caffè, probabilmente. Un felpone scuro con cappuccio sul pigiama e i piedi nudi, sicuramente. Forse si stava preparando per un weekend di vita. Da qualche parte lontano dalla città. Con amici. Una levataccia con sveglia puntata. Una levataccia decisa, pianificata. Non come le mie (decise da altri).
Io ero lì, e mentre davo il latte a Lorenzo e poi lo vestivo e lo preparavo per spedirlo con il Papi a fare il prelievo e con il pensiero all'ago già lentamente svenivo... ero lì, e immaginavo quella vita. Quell'altra vita. La vita che ho lasciato.
Con due gemelli ti dimentichi di avere una vita. Ma immagino non sia per sempre. Sono sicura che tra qualche anno rivivrò di nuovo, ma con loro. E poi, dopo qualche altro anno, avrò indietro la mia vita e potrò riviverla da dove l'ho lasciata. Sarò decisamente un po' vintage, ma quello che conta è lo spirito. Io e il Papi ricominceremo a viaggiare e a uscire da soli e la sera, mettendoci a letto, ci abbracceremo come ai vecchi tempi senza inciampare in qualche testolina di troppo. E allora ci mancherà questo periodo, quando avevamo due testoline di troppo sempre in mezzo. La vita è così. Ti sta sempre un po' scomoda, ma quando a distanza di anni riguardi le vecchie foto ti accorgi che ti calzava a pennello. Ed eri bellissima...
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