Licia Satirico per il Simplicissimus
In principio fu Silvio: il miglior presidente del Consiglio degli ultimi centocinquant’anni, ricordato oggi per un mix tragicomico di assalti al potere, escort, ragionieri rapiti, traffici occulti, lodi, duomi in faccia e barzellette, è stato il teorico del conflitto. Fu conflitto d’interesse – mai risolto – con la sovrapposizione tra pubblico e privato, tra Stato e azienda, tra leggi e impunità, tra avvocati e uomini delle istituzioni. Fu anche, e soprattutto, conflitto aspro e irreversibile tra i tre poteri dello Stato, con un parlamento asservito all’esecutivo da un sistema elettorale farsesco e una magistratura dileggiata, presentata in modo costante come politicizzata o delinquenziale: la lenta evoluzione da Montesquieu a Montecristo ha concepito i rapporti tra poteri come contrasto, acrimonia, vendetta. E ha lasciato il segno.
I conflitti sono pericolosi: a volte nascono artatamente e diventano autentici, diffondendosi a macchia d’olio. Accade così che un magistrato autodefinitosi partigiano della Costituzione si politicizzi davvero, lanciando invettive da blog e diari dopo una fuga rigenerante in Guatemala. Accreditando le voci che lo vogliono candidato premier degli Arancioni, ormai indifferente alle critiche di Vietti e dell’Anm, Ingroia attacca la decisione della Consulta che ha dato ragione a Napolitano nel conflitto di attribuzioni con la procura di Palermo. Il pm palermitano, che nega di volersi candidare ma intende far politica, non sa più chi sia o cosa voglia: non è ancora un politico e non è più un magistrato. Lo preferivamo non guatemalteco, agguerrito e fiero della lezione professionale di Paolo Borsellino. Temiamo che il nuovo ruolo di Ingroia finisca col seppellire l’altro conflitto irrisolto, quello tra Stato e mafia, che in effetti non è stato conflitto: semmai connivenza, trattativa, complicità su cui ora scende il pieno avallo del silenzio istituzionale.
Poi ci sono i conflitti di attribuzione, sempre più frequenti: quello sulle intercettazioni del presidente della Repubblica, appena definito dalla Corte costituzionale, e quello che potrebbe nascere dal decretone salva-Ilva. Il primo si è concluso nel senso già indicato mesi fa da Gustavo Zagrebelsky e oggi illustrato da Franco Cordero su Repubblica: la Consulta ha letto la Costituzione alla stregua dello Statuto Albertino, il cui art. 4 sanciva come “sacra e inviolabile” la persona del Re. Per far ciò si è aggrappata a una norma – l’art. 271 c.p.p. – che non prevede la distruzione immediata delle intercettazioni senza il contraddittorio delle parti, e che si applica solo a figure ben distinte dal Capo dello Stato (ministri di culto, avvocati e altre categorie professionali, non certo cariche istituzionali). Il vuoto normativo è sostituito da un’interpretazione creativa delle norme esistenti, e il conflitto tra poteri dello Stato – lungi dall’essere risolto – si inasprisce.
Il caso Ilva, se possibile, è ancora più sconfortante: abbiamo un decreto legge che scavalca di netto le decisioni della magistratura, ponendosi in frontale contrasto con il blocco dell’attività produttiva e la sottrazione dei poteri di custodia ai titolari dell’impresa statuiti nei provvedimenti di sequestro degli impianti. Il cancro pianta despota il suo vessillo nero grazie ad apposito atto normativo: con greve colpo di mano, il governo Monti è passato dalle leggi ad personam a quelle ad aziendam.
Chi di conflitto ferisce di conflitto perisce: è di oggi la notizia del conflitto tra il ministro Passera e il Pdl, con possibili ripercussioni sulla tenuta del governo e definitivo de profundis della riforma elettorale (oggetto, a sua volta, di conflitti più fasulli che reali).
Il partito estinto genera conflitti anche post mortem, perché il seme ha prosperosamente attecchito. La deriva del sistema democratico, alterato da interferenze economico-finanziarie, la profonda crisi dell’etica pubblica e i ricorrenti fenomeni di malcostume politico dovrebbero spingerci, con priorità assoluta, a recuperare il corretto equilibrio tra i poteri dello Stato.
Ma è già tardi. La mutazione genetica causa schizofrenia nei comportamenti istituzionali e una generale crisi di senso della democrazia vecchio stile: la deformazia, forma di Stato forse prevista dalla profezia Maya (guarda caso in Guatemala), non ci piace per niente.