I classici sono classici per un motivo. Shakespeare è come Omero, uno da cui tutto parte e che tutto dice, ciò che viene dopo è solo rielaborazione. Da Amleto il primo monologo della tragedia che racontando un uomo racconta gli uomini.
Ah, se questa mia troppo, troppo solida
carne, potesse sciogliersi in rugiada!
Ah, se l’Eterno non avesse opposta
la sua legge al suicidio! O Dio! O Dio!
Come tediose, e insipide ed inutili
m’appaiono le piatte convenzioni
di questo mondo! Che schifo! Che schifo!
Questo è un orto coperto di gramigna
che va in seme; vi sanno verzicare
erbe rozze e selvatiche, nient’altro.
A tanto dunque si doveva giungere!
È morto da appena due mesi… oh, no, che dico,
nemmeno tanti… un re così eccellente,
confrontato a costui,
un Iperione a confronto di un satiro;
e di lei a tal punto innamorato
da non permettere nemmeno ai venti
di sfiorarle con troppa forza il viso!
Ah, cielo e terra, come non pensarci!
E lei, che tutta s’appendeva a lui,
come se l’appetito di quel cibo
le crescesse mangiandone…
Appena un mese… Non voglio pensarci.
Ahimè, fragilità, il tuo nome è femmina.
Un mese appena… non ancor consunte
le scarpe con le quali, tutta in lacrime,
novella Niobe, aveva seguito
il feretro del mio povero padre…
Lei, sì lei!… O Dio Onnipotente!
Anche una bestia priva di ragione
avrebbe fatto più lungo compianto…
ed ora maritata con mio zio,
fratello di mio padre, ma a lui simile
non più di quanto lo sia io ad Ercole…
Un mese, appena un mese…
prima che il sale delle false lacrime
abbia cessato d’arrossarle gli occhi,
ancora gonfi, s’è rimaritata!
Oh, lubrica precipite lascivia!
Scivolare con tanta leggerezza
tra incestuose lenzuola!…
Non è bene, né può venirne bene!
Ma spèzzati, mio cuore,
ch’io debbo ora frenar la lingua!