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Creato il 27 ottobre 2012 da Frafiori

Quello che segue è uno dei miei primi racconti, di solito pubblico un mio racconto su blogaround solo a capodanno, ma visto che l’apocalisse incombe mi porto avanti.

Lei non sa chi è Oreste

Questa è la storia di un uomo e come ogni buona storia di uomini, parla di una donna: Elvira Catafasci. La bionda più strepitosa del bar Da Valdo, dove Oreste trascorre le sue lunghe ore di disoccupato a termine, passa tutta la mattina lì, tra i suoi bianchi sporchi, agonizzando per la vigliaccheria del tempo. Poi, come d’incanto, solitamente tra il quarto e il quinto bianchino, appare Lei, l’Elvira.

Avvolta in una nuvola di profumo francese fatto a Posillipo, le guance arrossate dai vigorosi pizzicotti con cui sostituisce la lampada. Elvira si avvicina al bancone, lentamente, fiera e frivola, muove le labbra morbide su cui Oreste sogna di cascate e tramonti e modula con una graziosa vocina, gracile e tenerissima: «Un caffé macchiato…».

A quel punto Oreste rischia lo svenimento, Lei aveva detto «Un caffé macchiato» ma lui sentiva frasi diverse, a seconda dei giorni. Le più probabili erano due, la prima era «Prendimi!» si capiva quand’era quella perché Oreste prende a rantolare ciondolando la testa, emettendo suoni grotteschi; la seconda «Se mi vuoi abbaia» e in quei giorni, se si ha la fortuna di passare Da Valdo, solitamente tra il quinto e il sesto bianchino, è facile vedere Oreste messo carponi, ululante nenie strazianti come un lupo in amore.

Ma fosse l’una o l’altra la frase, l’epilogo è sempre lo stesso: l’Elvira beve il suo caffè, si cerca nello specchio tra una sambuca e un whisky da discount, si assesta un bel pizzicotto sulla guancia, sorride ed esce.

Oreste non sa nulla di lei, solo che tra il quinto e il sesto bianchino beve un caffè. E questo gli basta. Quelle poche parole sono il primo momento d’amore di Oreste, che siede solo e beve bianchi sporchi.

L’Elvira cammina, lei non sa chi è Oreste, ha bevuto il caffè e ora torna al suo lavoro di segretaria dell’avvocato Biscàla, di cui è segretaria e succhiacazzi. Lei non sa chi è Oreste. Sale le scale, entra nell’ufficio, il capo la saluta con una pacca sul culo, lei si siede con le gambe larghe.

Oreste è ubriaco, sono le sei, deve guardare l’ora perché i bianchini non si contano più. Sta per arrivare il secondo momento d’amore della sua giornata, l’Elvira sta per entrare e mormorargli qualcosa, in realtà ordina un Crodino.

Pare stanca, ma la bellezza di cui la riveste Oreste è inscalfibile, l’Elvira si siede, e questo non l’ha mai fatto.

Oreste è spaesato, è sicuro che lei gli abbia detto «Vieni qui» e forse questa volta non è l’unico ad averla sentita. Suda freddo, cerca impacciato il coraggio scavando animosamente tra le sue passioni, lo trova: è un ragazzo di vent’anni, in divisa, col fucile a tracolla in un qualsiasi bar in mezzo all’inferno, le sirene suonano e lui è in piedi. Seduta di fronte a lui c’è una donna, è bionda e porta un profumo francese fatto a Posillipo. Lui la guarda, si avvicina.

Lei dice: «Un caffè macchiato.», lui la bacia.

Oreste adesso è in piedi, il ragazzo in uniforme lo sprona, Oreste si fa convincere e cammina, barcollando, verso l’amore, ci arriva a un passo, ma non resiste e crolla a terra, proprio lì a un passo dalla vita. Oreste morto di Elvira ai piedi dell’amore.

L’Elvira si alza, si cerca nello specchio tra una sambuca e un whisky da discount, un pizzicotto, sorride ed esce.

Questa era la storia di un uomo e come ogni buona storia di uomini parlava di una donna, ma non è necessario che lei partecipi. Lei non sa chi è Oreste.


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