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Lena Dunham è conosciuta in Italia per avere scritto, diretto e interpretato la serie tv “Girls”. Serie rivelazione distribuita da HBO, che ci ha liberato tutte da quel senso di forzata leggerezza dell’altro grande successo femminil-metropolitano: “Sex & The city”.
Divertente, Sex & the city è stato tutto quello che volete. Ha vincolato noi teenager o twentysomething del tempo all’idea che per fare del sesso in modo soddisfacente si debba essere magre, con belle scarpe costosissime e magari scrivendone su di un giornale. Il rischio è la modalità bulimica: sesso ogni 5 secondi, mettendo una spunta accanto al volto dell’uomo del caso. Fino a fermare la queste, la ricerca, quando si è trovato l’uomo della vita. Un uomo cercato, incontrato, conquistato e sudato (possibilmente ricco): come il Big di Carrie Bradshaw.
Perché incastrare l’uomo della vita resta l’obiettivo principe di tutta l’emancipazione femminile, anche nei tremendissimi anni 2000.
La serie della Dunham fa tabula rasa: non si deve essere magre, non siamo qui a cercare l’uomo della vita, non vogliamo che cambi, ma soprattutto lui non deve cambiare noi. La vera queste è quella che porta a conoscere noi stesse. Se facciamo sesso in maniera bulimica in nome della libertà sessuale, è sbagliato. Libertà è dire sì. Libertà è dire no.
La serie tv di Dunham si fa portavoce di un nuovo femminismo: poco ideologico, molto concreto e se volete cognitivista. Nuovo, almeno qui in Italia: dove si parla di femminismo di sinistra (il movimento “Se non ora quando”), o radical-cinical- femminismo (libro di Annalisa Chirico “Siamo tutti puttane”).
Lena Dunham ce lo grida: “Sono una donna, ho i miei complessi, me ne sto liberando, e intanto lasciami stare.Voglio essere un genio creativo e di successo”. Lena ci riesce, ma non senza una esperienza di dibattimento interiore. Quello che la critica dei libri è portata a definire come “formazione”.
Il libro è un’autobiografia. Devo ammettere: che una ragazza di 30 anni something ci proponga una sua biografia, l’ho trovato (all’inizio) almeno presuntuoso. A conti fatti, il modo epico in cui vengono descritte alcune sue gesta, mi lasciano pensare che sì, se la tira. Vorrei gridarle: hey, Lena, la tua vita non è niente di speciale. È una vita. Come tante. Ma poi ci sono degli insegnamenti che vale la pena condividere con le altre giovani donne, che sono proprio quelli che hanno educato il personaggio Lena a essere quello che è. Si tratta di un percorso di crescita, che porta il personaggio Lena a emanciparsi dalla cultura dominante affermando la propria volontà in modo quasi esistenzialista. Il passaggio è da una Lena dalla volontà non definita, a una che sa cosa vuole, perché, e sa in che modo lo otterrà. Una donna risolta. Un percorso di crescita e di emancipazione, in senso generale, a tutti gli effetti.
Ecco quello che mi è piaciuto.
1) A leggere il libro ci si impiega meno che a leggere questo post.
2) La condivisione platonica del letto. È veramente un’ottima idea. Invece di fare sesso, si condivide solo il letto, in maniera platonica. Ci si abbraccia, ci si conosce, si fa amicizia. Si fanno le cose a modino: non il contrario. Lena racconta di come abbia preferito questa modalità finché non si è sentita pronta per la prima volta. E quando si è sentita pronta per la prima volta è stata mezza violentata. O forse no: se lo chiede nel libro. Ma se non ne ha la certezza, significa che lei stessa non sapeva bene che cosa stesse cercando. Morale: condividete il letto, fate o non fate sesso. Basta che facciate quello che veramente volete.
3) L’essere bionda. “Nella mia vita ho avuto due momenti in cui mi sono sentita figa” scrive Lena – e sono stati entrambi quando si è tinta di biondo. È inutile ragazzi. La bionditudine rende vanitose, terribilmente femmine, e straordinariamente fiche.
“Ero di nuovo bionda, di nuovo padrona di una giacca alla moda – a strisce verdi e bianche made in Japan – e venivo coperta di attenzioni da persone che sembravano anche loro apprezzare le mie poesie”.
4) Il trucco. “Metto giù e vado allo specchio, pronta a vedere l’eyeliner che mi cola sulla faccia, macchiando cipra e fondotinta. Invece, con mio stupore, il mio viso è intatto, fresco addirittura. Il trucco è dove dovrebbe essere. Ho un bell’aspetto, sembro me stessa”.
“Ho un bell’aspetto sembro me stessa”.
“Ho un bell’aspetto sembro me stessa”.
“Ho un bell’aspetto sembro me stessa”.
“Ho un bell’aspetto sembro me stessa”.
5) Non puoi cavare sangue da una pietra. Questa è la frase che la madre d Lena pronuncia per consolarla di un fallimento amoroso. Queste le sue considerazioni: “Se avessi chiuso quella storia, sarei rimasta da sola per sempre? Certo, (lui) odiava le me gonne. Certo, (lui) scriveva racconti su quanto erano troie le commesse di J. Crew. Ma l’amore?”. E l’amore non esiste se non è corrisposto.
6) Corpo imperfetto. Non esistono i corpi imperfetti. Esistono i corpi, e possono piacere e non piacere. Lena racconta la sua esperienza di mostrarsi nuda alle telecamere. Non è magra, ha la cellulite, non ha una quarta. E sembra doverne dare conto ai giornalisti. “Quello che vogliono davvero sapere, ovviamente, è quanto coraggio mi ci voglia nel mostrare il mio corpo imperfetto. La mia risposta è: non ci vuole coraggio a fare cose che non ti spaventano”.
7) Le donne e il cioccolato e il ciclo. “Avere il ciclo è l’unica parte dell’essere femmina che ho sempre detestato. Tutto il resto sembra un privilegio unico e desiderabile, ma questo? C’era qualcosa di estremamente deprimente nella prevedibilità del tutto: vogliamo il cioccolato. Abbiamo fame. Mai lamentarsi in pubblico disquisendo di quali siano le pillole più efficaci per i crampi. Mai ammettere davanti agli altri di avere più di un “mal di stomaco”. Ed è così che faccio”.
8) Nelle storie, se si impara qualcosa, vale la pena. Se no è tempo sprecato. Lena racconta di una relazione di sesso con un uomo, di cui lei era invaghita. E da quale avrebbe preteso qualcosa di più. Lui non corrispondeva il suo interesse, in nessun modo.
“Se qualcuno ti mostra quanto poco gli interessi e tu continui a cercare quel qualcuno, prima ancora che tu te ne accorga inizi a perdere il rispetto di te stessa. Non siamo fatte a compartimenti stagni!Siamo un’unica persona! Le cose che ti vengono dette, vengono dette a tutta te stessa, idem per quelle che ti vengono fatte. Essere trattata come una merda non ha niente di divertente e non è un trasgressivo esperimento intellettuale. E’ una cosa che accetti, perdoni, e piano piano ti convinci di meritare”.
Il succo è: se un uomo vi tratta di merda, non è perché ve lo meritate. È perché vi tratta di merda e non gliene frega niente. Le cose non cambieranno: ringraziate per la compagnia, salutate, mettete una spunta, tirate giù la cler e buttate la chiave nel pozzo.
9) Le donne: una bozza umana. Nel libro Lena ci racconta di una relazione con un uomo che non parlava, non rispondeva, non si sprimeva. Conosciamo bene la tipologia: è interessante, finché un giorno non ti svegli e dici “hey, mi sto annoiando”. Le mail di Lena a quest’uomo sono lunghe, esplicative, ragionate. Riviste, corrette, rispedite. Questo atteggiamento femminile è da “bozza umana”. Scrivere, spiegarsi, riscrivere. Dire, affinare un’idea, ridire. Capita a tante.
“Invidio le caratteristiche degli uomini, se non gli uomini stessi. Soprattutto la naturalezza con cui sembravo vivere le loro ambizioni professionali: la mancanza del bisogno di scusarsi, del doversi preoccupare ogni volta di ottenere l’approvazione degli altri in quello che fanno o stanno cercando di fare. Il fatto che siano privi di quella smania di compiacere la gente che ho considerato una maledizione della mia vita da femmina”.