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Il ‘bravo ragazzo’ non c’è più. Forse. E’ scomparso, o forse si è solo mimetizzato, dietro quel look ‘all black’ scelto per la sua seconda conferenza stampa di presentazione nella sua breve, ma decisamente invidiabile, carriera da allenatore passata dal rossonero al nerazzurro. Stesso naviglio, sponda diversa.
Leonardo Nascimento De Araujo, il brasiliano globettrotter che parla cinque lingue e ama Milano, ha deciso di dare una svolta alla propria immagine zen. «Non voglio più fare il bravo ragazzo – ha detto alla ‘sua’ prima nerazzurra nella sala stampa della Pinetina -. Non sono né tradito, né traditore. Ho sempre cercato di essere libero e se io ho libertà di scelta, gli altri hanno libertà di giudizio».
Ma l’espressione del viso disattende i ‘cattivi’ propositi. Nonostante tutto intorno a lui sia cambiato da quel 1 giugno 2009 quando nell’insolita cornice della sala conferenze dello stadio Meazza si presentava al mondo del calcio, frequentato da giocatore e poi da dirigente, nei panni di allenatore, e lui sia ormai un'altra persona, Leonardo non riesce ad essere convincente nei panni del ‘cattivo ragazzo’.
Non ha negli occhi quel lampo beffardo di mourinhiana memoria ma dal suo illustre predecessore dal quale non sfugge ha imparato l'arte di dire ciò che è appropriato tanto da non sbagliare un solo 'passaggio' in una conferenza stampa che poteva diventare una trappola. E anche se, da una presentazione all'altra, ha cambiato colore alla camicia passando dal bianco immacolato al nero e ha tolto la cravatta lo stupore sembra immutato. Così come la sua fermezza, quella che in un’altra fatidica conferenza stampa lo scorso 14 maggio, lo aveva allontanato dal club che era stato casa sua per 13 lunghi anni.
«Ho la mia verità, non mi sento colpevole, non ho rimpianti – ha ammesso serenamente il nuovo tecnico dell’Inter -. Era impossibile dire di no a una sfida così affascinante, sorprendente e inaspettata». Perché precisa Leonardo «io non cercavo un lavoro, cercavo un sogno». Quel sogno che un presidente (incline alle punzecchiature, alle critiche e a un certo autoritarismo tattico) ha solleticato mettendolo su una panchina che Leonardo aveva faticato ad accettare, e un altro presidente - con un’investitura personale di preciso contenuto simbolico - ha deciso di coltivare.
(Pubblicato quasi integralmente su Cronaca Qui Milano del 30/12/2010)
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