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Lettera a Léo

Creato il 16 maggio 2012 da Dragor

  Leo (3)

 

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   Sai Léo, ho la sensazione di averti tradito. Ti sogno ogni notte. Nell’ultimo sogno avevi una zampa ferita e ti trascinavi a fatica. E’ colpa mia se ti è toccato lasciare la tua casa di Nizza per uno studio a Parigi dove resti solo tutto il giorno perché la tua compagna va a lavorare. Come tutti i gatti, tu avresti voluto rappresentare la continuità, il cuore della famiglia. Avresti voluto continuare a toccarmi timidamente con una zampa, guardandomi con aria supplichevole mentre lavoro per chiedermi il permesso di saltare sulle mie ginocchia e ricevere qualche carezza. Perché tu sei il gatto più educato del mondo, l’unico che s’imponga questa formalità. E una volta ottenuto il permesso, avresti voluto continuare a saltarmi sulle ginocchia, fare esattamente 2 giri su te stesso prima di acciambellarti, guardarmi con tutta la dolcezza che gli occhi di un gatto possono esprimere, offrire la gola alle mie carezze e chiudere gli occhi con l’aria più beata del mondo.

   Avresti voluto continuare a dormire sul nostro letto, nell’unico angolo non disturbato dai nostri movimenti, un angolo verso il quale il tuo istinto ti ha infallibilmente guidato perché tu potessi dormire in pace senza disturbare e senza essere disturbato. Il mattino, avresti voluto sfiorarmi il viso con la zampa per chiedere la carezza del buongiorno, oppure me lo avresti dato tu alla maniera dei gatti, toccando il mio naso con il tuo piccolo naso freddo e accompagnando il tocco con un breve, sommesso miagolio.

   E’ occorso molto tempo perché il nostro rapporto diventasse cosi’ intimo. Quando ti ho trovato, eri un gatto gentile, discreto e fiducioso, ma « un » gatto, non ancora il mio. Il tuo compagno, che abitava nello stabile di fronte, aveva traslocato e ti aveva semplicemente abbandonato, senza curarsi del tuo futuro.  Cosi’ eri diventato parte della piccola colonia di gatti che alloggia nel cortile del nostro stabile, assisitita da una signora gentile. Un giorno, mentre tornavo a casa, tu mi hai seguito nell’ascensore, sul pianerottolo e nell’appartamento. Perché proprio me? Sta scritto nel destino.  Non ho osato mandarti via e da allora è cominciata la nostra amicizia.

   Eri fiducioso, ma allo stesso tempo diffidente. Avevi tanto amore da dare e da ricevere, ma non mi conoscevi. Cosi’ non osavi saltarmi sulle ginocchia, non osavi lasciarti grattare sulla pancia, non osavi saltare sul mio letto, non osavi sollecitare le coccole con un tocco gentile della tua piccola zampa.  Queste abitudini sono nate con il tempo, quel tempo che ti ha fatto diventare il mio gatto e mi ha fatto diventare il tuo compagno.

Abbiamo cominciato a giocare insieme, mi sono prestato al gioco dei ruoli in cui i gatti sono maestri. Trasformavi la casa in teatro, eri come un regista e io il tuo attore. A volte mi volevi come preda e mi facevi dei deliziosi agguati nascondendoti dietro le porte e poi saltandomi addosso  A volte mi volevi come cacciatore e scappavi invitandomi a inseguirti.  

  Ho cominciato a stuzzicarti, a tirarti la coda divertendomi quando fingevi che nessuno ti trattenesse e ti accovacciavi sul pavimento come se lo avessi deciso tu. Perché non ti saresti mai ribellato. Hai un carattere troppo dolce.

   Pensavamo che tutto questo potesse durare per sempre, ma la vita ha deciso diversamente. Non ho potuto portarti per me, l’Africa non è fatta per i gatti. Almeno non per quelli come te. Cosi’ adesso ci separano migliaia di chilometri e io mi sento in colpa per avere tradito quello che un gatto ha di più caro al mondo : l’unità della famiglia. Ma te lo giuro, sei l’unica cosa che mi tiene attaccato all’Europa.

Dragor 


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