Magazine Cultura

Letteratura vuol dire raccontare storie

Da Marcofre

Molti anni fa, mi rifiutavo di scrivere “jeans” e preferivo “calzoni di tela”. Imbarazzante, non è vero?

Quando si hanno poche idee ma confuse, ci si dedica a qualunque cosa pur di non scrivere storie. Forse perché non se ne hanno. Quindi si spacca il capello in quattro, ci si attarda inutilmente in questioni sciocche invece di scrivere e basta.

Benché possa sembrare una battuta, non è possibile scrivere dicendo dei “No”, ma semmai pronunciando dei “Sì”. La propria voce: che cos’è? Come ci si arriva? Questioni interessanti, che trovano qualche soluzione dopo che ci si è resi conto che tutto parte da sé stessi. Quello che si è letto, utilissimo, non aiuterà mai a scrivere davvero qualcosa di interessante. Non che sia una perdita di tempo, anzi. Ma scrivere è una faccenda tua, sei da solo, nessuno può dirti come raccontare la tua storia. È la tua, giusto?

Semmai Tolstoj o Zola ti aiutano a capire cosa evitare. In quale modo gestire una folla, o un esercito che invade le pianure. E basta. Il resto è affar tuo.

Se non parli, come fai a capire la tua voce? E a correggerla? E perché certe cose non le dovresti dire?

Mi ricordo: la pensavo in quel modo perché occorreva proteggere la purezza della lingua. Come se l’essere umano fosse qualcosa di lindo, impeccabile.

Basta farsi un giro nella realtà per comprendere che tutto è, tranne che impeccabile. Una capatina nei servizi igienici dei treni dovrebbe bastare a chiarire le proprie idee.

La voce racconta una realtà che è scomoda non solo per le “brutte parole” che occorre usare per renderla nel migliore dei modi. Ma perché c’è questa ideuzza vecchia di almeno un secolo, e ne ha parlato in maniera illuminante lo scrittore Paolo Zardi, in un post da leggere. Alla fine, succede questo. Che se un giudice trascina in tribunale un autore, si levano gli scudi, e può andare.

Però la letteratura è diventata solo il mezzo per parlare d’altro. E se un autore non desidera farlo, ma concentrarsi sulla letteratura e basta, allora nascono i malumori.

“Non ritiene che sia necessario dire una parola contro…” (chi legge aggiunga quello che vuole).

No.

La letteratura da tempo ha smesso di pontificare, giudicare, ammaestrare il popolo. Letteratura vuol dire raccontare storie. Fine. Siccome è davvero difficile, molti preferiscono prendere delle idee e travestirle di una storia banale, che è solo un pretesto per parlare d’altro. Il pubblico batte le mani, con vigore: è così bello avere qualcuno che pensa per noi, vero? Rassicura. Basta schierarsi.

E chi critica colui o colei che non lo fa, non è molto distante da quel giudice che nell’Ottocento riteneva Madame Bovary immorale perché il suo autore non condannava la condotta di quella donna, non la giudicava.

Raccontava una storia.


Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog