Caro Primo,
una delle innumerevoli arti in cui sei maestro è quella che si potrebbe definire “sociologia degli oggetti”, la capacità di leggere i tratti caratteristici di un ambiente, o di un’intera civiltà, a partire da un esame dei manufatti che usa. Vedi, ad Auschwitz, la questione dei bottoni delle divise, sia quelle dei militari sia quelle dei prigionieri. Ma anche nella tua Torino ti basta guardare “dove metti i piedi” per scoprire tesori. Qui a Perugia i marciapiedi suggeriscono al limite idee di incuria e incompetenza, tant’è che, quando siamo in gita su al Nord, mia moglie benedice i lastricati “celtici”. Tu invece riesci perfino a tirare in ballo i testi sacri e i capolavori della letteratura.
“Adhaesit pavimento anima mea”, l’anima mia aderì al lastricato: così il Salmo 119, che Dante cita nel Purgatorio, e che tuttavia viene anche tradotto in altri modi. Aderì al lastricato per motivi vari e per breve tempo, e questo contatto non è stato del tutto inutile; è stata piuttosto una esplorazione. I marciapiedi sono un’istituzione molto civile: lo sanno i romani d’oggi, che non li hanno [come no?! ma sì che li hanno, chiedo conferma a chi ci abita, ndr], e che quando vanno a piedi devono percorrere snervanti labirinti fra le auto posteggiate troppo vicino ai muri. Lo sapevano i romani d’un tempo, che invece li avevano costruiti ben rilevati a Pompei [non che gli sia servito a molto, ndr]; e lo sapeva anche fra Cristoforo dei Promessi Sposi, che appunto era diventato frate perché un certo marciapiede non c’era, o era fangoso, o troppo stretto, tanto che lui si era trovato obbligato ad un brutto incontro che gli aveva fatto cambiare nome e destino.
Torneremo in futuro sulla tua passione, non scontata, per il romanzo del Manzoni. Qui però a colpire è quel tuo stile nello scrivere, preciso nel dettaglio eppure evocativo, per cui la tua narrativa ha il taglio documentaristico di un saggio storico, e i saggi storici hanno il sapore del romanzo, del romanzo impegnato, s’intende: se ne accorsero già i primi lettori di Se questo è un uomo. Anche qui, descrivendo i “marsapè” di Torino, il tono acquista subito l’abbrivio di un raccontino di fantascienza, che con arguzia immagina scenari futuribili.
I marciapiedi della mia città (e, non ne dubito, quelli di qualsiasi altra città) sono pieni di sorprese. I più recenti sono di asfalto, e questa è una follia: più ci si inoltra sulla via dell’austerità, più appare stupido usare composti organici per camminarci sopra. Forse non è lontano il tempo in cui l’asfalto urbano verrà riesumato con le cautele che si adottano per staccare gli affreschi; verrà raccolto, classificato, idrogenato, ridistillato, per ricavarne le frazioni nobili che esso potenzialmente contiene. O forse i marciapiedi di asfalto saranno sepolti sotto nuovi strati di chissà quale altro materiale, sperabilmente meno prodigo, ed allora i futuri archeologi vi troveranno incastrati, come gli insetti del pliocene nell’ambra, i tappi-corona della Coca Cola…
Torna in mente una delle pagine più simpatiche di Arthur Schopenhauer, quando scrisse che una futura specie intelligente che dominerà il pianeta, se troverà un cranio di formichiere, non riuscirà a raccapezzarsi
Tuo d