Pangea News, America Latina Quotidiana, è un’agenzia di notizie italiana fondata sul principio della libertà di parola, sul dovere della trasparenza e sul diritto all’informazione. Opera da Buenos Aires. L’articolo su Pablo Neruda è firmato da Filippo Fiorini: http://pangeanews.net/
Buenos Aires - Donna Urrutia riattaccò il telefono, guardò Manuel e disse: «Gli hanno fatto un’iniezione alla pancia, sta male. Dobbiamo andare subito». Erano le 4 di pomeriggio di domenica 23 settembre 1973 e il Cile, che da due settimane aveva perso la democrazia a causa del colpo di Stato militare con cui Pinochet spodestò Allende, ora stava per perdere anche il suo intellettuale più illustre: il poeta Pablo Neruda.
Dopo la telefonata dall’ospedale, la moglie e l’autista personale corsero a bordo della Fiat 125 bianca per i 120 km che separano la casa di Valparaiso, dalla clinica Santa Maria di Santiago. Il poeta era ricoverato da 4 giorni. Con la scusa di fargli controllare il cancro alla prostata, l’avevano portato nella capitale per farlo uscire dal paese. «Non mi sono mai perdonato di averlo lasciato solo», disse molti anni dopo Manuel Araya, all’ufficiale giudiziario che scriveva questa sua ricostruzione.
Neruda si era fatto convincere all’esilio dall’ambasciatore messicano, Gonzalo Martinez Corvalá. Lo afferma proprio quest’ultimo nella dichiarazione che firmò presso il consolato cileno di Città del Messico, due giorni dopo la deposizione di Araya, nel novembre 2011. «La vita di Neruda era in pericolo», precisa l’ex diplomatico. Dopo che le forze armate ribelli avevano ucciso il presidente Allende, il premio Nobel era diventato la figura più influente della sinistra cilena.
«Lo vidi per l’ultima volta sabato 22. Stava bene, lo informai delle atrocità che accadevano nel paese e decise di partire lunedì 24». Sarebbe diventato il capo dell’opposizione contro Pinochet. Il 23, l’ambasciatore arrivò all’ospedale poco dopo donna Urrutia e Manuel Araya, ma non fece in tempo a vederlo vivo. «Neruda era rosso in volto, aveva la febbre – ricorda l’autista, che in realtà era il suo uomo di fiducia – si sollevò la maglia e mi mostrò il ventre. Aveva come una puntura d’insetto, arrossata. Il medico mi disse che doveva prendere urgentemente l’Urobotan, un farmaco che si trovava solo in una farmacia di via Vivaceta, lontanissima. Cercai di fare in fretta».
Manuel non riuscì mai a comprare quella medicina dal nome inventato. A pochi isolati dal Santa Maria, fu fermato da due berline. Picchiato, sparato a una gamba, fu imprigionato dal regime nello Stadio Nazionale, dove rimase per un mese e dove all’indomani dell’arresto, seppe che Pablito, come lo chiamava lui, era morto. Lo stesso giorno, il quotidiano conservatore El Mercurio, scrisse che «il poeta cileno e Nobel per la Letteratura, Pablo Neruda, era deceduto per un arresto cardiaco, dovuto a un’iniezione di calmante». La fonte del giornale, però, discrepava dal certificato di morte firmato la sera prima, nelle cui “osservazioni”, si legge: «Causa cachessia cancrenosa cancro prostata metastasi cancrenosa», cioè dimagrimento da cancro, cancrena e metastasi.
Strano. L’uomo che ricordano i suoi amici, l’ambasciatore e due ex ministri democristiani che lo visitarono in ospedale, «pesava più di un quintale»: grasso, Neruda fu fotograto il 12 luglio, nel suo 69esimo compleanno. Grasso, Neruda era il giorno che morì, quando telefonò a casa per chiedere aiuto. «Il 23 settembre ero di turno al Santa Maria. Attorno alle 15:00 mi chiamò l’infermiera Maria Araneda, perchè il paziente pativa forti dolori». Lo disse nel 2011 il dottor Sergio Draper, quando fu interrogato dal commissario Jara. Aveva iniziato a lavorare nella clinica il 20, cioè il giorno dopo l’arrivo di Neruda. Oggi lavora all’Ospedale Militare di Santiago.
Il poeta che vide quella domenica è diverso dal poeta «assolutamente normale» che l’ambasciatore stava facendo espatriare: «Era agonizzante, in anasarca – cioè gonfio a causa di un edema – con una frattura patologica al femore, dovuta alla metastasi». «Come da ordini del medico curante, somministrai un calmante: la dipirona». Poi, dice di aver finito il turno alle 19:45, sostituito dal dottor Price, che in serata lo informò del decesso. Il dottor Price e l’Urobotan sembrano avere una cosa in comune: non esistono. Secondo la Polizia Investigativa, nessun Price è mai stato iscritto alle facoltà di medicina del Paese, né all’Albo dei Medici cileno, passaggio obbligato per esercitare.
Quindi, se il dottor Price non esiste, il dottor Draper è l’asssassino? «È possibile. Se non è lui – dice l’avvocato Contreras prima di entrare in aula – almeno deve sapere chi è stato». Contreras è riuscito a far riaprire il caso Neruda. La causa dice: omicidio e associazione a delinquere. Il giudice ha appena ordinato la riesumazione della salma, in cerca di tracce di avvelenamento. Perchè avete aspettato tanto? «Perchè Araya, l’autista, ha parlato solo ora». Araya, perchè ha aspettato tanto? «Non sapevo a chi rivolgermi», dice agli inquirenti. «In Cile non si poteva parlare», lo difende Contreras. Il regime di Pinochet eliminò altri avversari in modo simile? «Si, l’ex presidente Frei, con un’iniezone letale». Era l’82, anche Frei morì al Santa Maria, il medico di turno era il dottor Draper.