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Liberare la storia dalle dighe

Da Marcofre

Uno dei pregi del metodo (mai abbastanza celebrato) “Pensarci su” quando si scrive, è che a furia di passare il tempo su frasi e dialoghi, riesci ad individuare le dighe.
Sul serio.

Come dicono tutti, è buona norma buttare giù l’idea, magari lasciarla da parte per un po’ di tempo e poi tornarci sopra e lavorarla per bene mesi e mesi (o anni). Se questa procedura viene condotta con sufficiente pazienza e attenzione, ci si renderà conto che spesso è sufficiente togliere due parole, o un punto, perché la storia fluisca. Sino alla sua conclusione.

Non è affatto semplice, ma non mi pare che da qualche parte sia scritto che lo debba essere.

Quando si scrive di getto è normale che sulla pagina ci finisca un po’ di tutto, e di più. Bene.
Può capitare che la storia assuma un andamento lento, e se non si fa troppa attenzione dopo un po’ si ferma. Ma ritengo che anche se sii è distratti ci si ritrova in una palude.

Non mi riferisco al blocco dello scrittore, che secondo me è facile da combattere: basta scrivere. Cosa? Qualunque cosa: che c’è sulla scrivania? Ecco, scrivi quello, oppure di ciò che vedi dalla finestra di casa tua. Non corrisponde affatto a quello che avevi in mente? Tu scrivi, e non ti preoccupare troppo.

Come amo ripetere: se una frana blocca la strada e devi arrivare a destinazione, che fai? Aspetti per mesi che la circolazione ritorni alla normalità, oppure ti muovi e utilizzi altre vie?

Parlo invece delle dighe che possono mettersi di traverso e rallentare il flusso della storia. L’esordiente non ha alcuna idea di che cosa si tratti, perché vive nel mondo dei sogni dove basta scrivere, e via. Siccome la storia è una brutta bestia, in quanto organismo vivente, deve per forza avere i mezzi per vivere, o almeno sopravvivere, ed evolversi. Altrimenti hai un sasso.

Occorre per questo rileggere e pensare. Senza fretta (tanto il mondo se ne infischia), si inizia a eliminare tutto quello che è in più.

Se si riesce ad individuare la diga, è fatta; be’, quasi. Dopo non è discesa, resta sempre salita, anzi scalata. Si troveranno altre dighe, ma almeno il corso della storia riprenderà. Quello che deve essere chiaro nella testa di chi scribacchia, è che occorre una buona dose di conoscenza della parola per capire dove si ferma il flusso.

Per questo è essenziale leggere parecchio, esercitare quindi l’occhio, e la materia grigia dentro le pareti craniche, a individuare la strozzatura. Possono volerci giorni; mesi. Magari è sbagliata la storia, l’osso è troppo grande per i nostri poveri denti.

Si sviluppa col tempo una sorta di “sesto senso”: non che funzioni sempre, anzi. Per questo il buon Torquato Tasso fece leggere la sua “Gerusalemme Liberata” a cinque personalità di tutto rispetto, perché gli dicessero come era venuta. Cinque: ricordati di questo aneddoto quando sentirai qualcuno affermare che nessuno ha diritto di criticare o esprimere giudizi su un’opera. Né il lettore né altri.

Ma di certo se si frequentano i “piani alti” della letteratura, un po’ di sana polvere si appiccica ai vestiti, alle mani. Insomma, impariamo qualcosa. Poi,  si impara sempre di più. Si desidera crescere, e accrescere la propria cultura.

Di recente mi è capitato con un racconto che sto scribacchiando. Ma è accaduto lo stesso anche con quelli precedenti, direi che è fisiologico. A un certo punto la barca che ci trasporta approda in una palude. Come è possibile? Sino a poco prima, il corso del fiume era limpido, le acque scorrevano con energia: adesso l’unica energia che c’è nella palude è quella delle zanzare. Occorre tornare indietro. Senza che ce ne accorgessimo, “qualcosa” è intervenuto a interrompere il flusso.

Non so se è sempre così: a volte si tratta di aggettivi. Li elimini e voilà. Altre volte in un dialogo il protagonista parla troppo. O parla nel momento sbagliato e dice cose che non servono: zac.
Allora, l’acqua torna a scorrere. La navigazione può riprendere, almeno sino alla prossima diga.


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