E’ di pochissimi giorni fa la notizia secondo la quale nelle 79 scuole materne comunali di Torino sarà abolito il grembiulino. La decisione ha raccolto numerosi pareri discordanti, tra i quali spicca quello, acuto come un angolo ottuso, del più sopravvalutato tra i giornalisti: ovvero Massimo Gramellini (non ho mai fatto segreto della scarsa stima che costui mi suscita)*. Il mio istinto è stato belare un “meno male”. Non si tratta di istinto materno, ovviamente. Sono persuasa che questa decisione scontenterà soprattutto le mamme, che tendenzialmente considerano il grembiulino come uno strumento di protezione per i vestiti che ci stanno sotto. Pare che i bambini siano soliti rotolarsi nella polvere, pulirsi le mani sporche di tempera sulla maglietta, o come ci insegna questa testimonianza, saltare dentro le pozzanghere.
Lo dico da ex allieva di scuola materna (di un istituto provinciale ma, ora me ne rendo conto, profondamente progressista) che ha avuto la fortuna di non portare mai il grembiulino e che pensa ancora che la scuola pubblica sia il luogo eletto per la socializzazione e il confronto. Solo un illuso può pensare che il grembiulino sia la livella di Totò, in grado di rendere i bambini uguali e di annullare le differenze sociali o etniche, -ammesso che esse siano da annullare-. Diciamo che se un bambino è senegalese, non sarà un camice di cotone a distogliere l’attenzione dei compagni di classe dalla sua diversità o trasformarla in qualcosa di positivo, -ammesso che la diversità possa essere negativa-. Se la famiglia di un bambino è squattrinata e lo manda in giro con i vestiti fatti di tende come i figli del barone Von Trapp, poco potrà fare il grembiulino per nasconderne l’indigenza.
A cosa serve il grembiulino se la tua governante è Julie Andrews-suor Maria?
I grembiulisti, come li chiama Gramellini, pensano che mettere tutti i bambini sullo stesso piano serva, alla lunga, a favorire l’emancipazione delle loro giovani menti: il grembiulino, quindi, dapprima posticipa la presa di coscienza delle differenze sociali (ah, meno male, che sono come voi) e in un secondo momento la stimola addirittura (toglietemi ‘sto straccio di dosso, io non sono come voi).

A me tra l’altro il grembiulino deprime
Gramellini secondo me si è dimenticato che i bambini, oltre a inzaccherarsi come porcellini e infilarsi oggetti acuminati nel naso, osservano. Ed è solo dall’osservazione che nasce il senso critico. Se i bambini apprendono precocemente a riconoscere le differenze, non c’è proprio nulla di male. Prendendo atto delle diversità, sviluppano il gusto personale, la creatività, l’individualità, l’originalità. Imparano anche a difendersi, a motivare le scelte proprie e della famiglia davanti agli altri. Il punto, purtroppo, è l’incapacità degli adulti di educare i bambini ad essere rispettosi, o quanto meno curiosi nei confronti delle differenze: molti bambini arrivano a scuola già infarciti di pregiudizi e preconcetti, fomentati dai discorsi che sentono in famiglia o in TV. E se le famiglie sono un po’ sgarrupate, ci pensano le maestre a farglielo notare. C’è una storiella di vita vera, direttamente dagli anni ’80, che dimostra che, con l’aiuto di adulti intelligenti, si può trasformare una fonte di vergogna in un momento di apprendimento. Una mia amica, alla scuola materna, iniziò a portare quei tremendi orribili occhiali di plastica con una lente coperta dal cerotto per correggere un difetto della vista. Allora sua mamma e la maestra fabbricarono delle bende per tutti gli altri bambini, che ci giocarono un paio di giorni, capirono il problema e la questione finì lì. Non vedo come il grembiulino avrebbe potuto fare la differenza. *però Gramellini ha una moglie adorabile, che fa l’osteopata, ha delle mani d’oro e una volta mi ha raddrizzata. Ma prima faceva la doppiatrice: è sua la voce di Maude Lebowski. ** ora la mia amica ha gli occhi dritti, NDR
