I destini di Liberazione si intrecciano, geograficamente e temporalmente, con quelli del fondo per l’editoria dello stato italiano. Martedì 20 marzo, infatti, il sottosegretario della presidenza del consiglio con delega all’editoria Paolo Peluffo illustrerà in commissione Cultura alla Camera dei deputati i nuovi criteri per la ripartizione dei fondi pubblici per il settore e il totale dei contributi disponibili per ufficializzare poi l’aumento del fondo stesso a quota 120 milioni di euro (almeno per quest’anno, poi si vedrà).
Nelle stesse ore, alla Regione Lazio, è in programma il quarto incontro dei lavoratori del quotidiano di Rifondazione Comunista con l’editore Mrc per tentare di sbloccare la situazione e per capire se esiste ancora la possibilità di un accordo tra l’azienda e le rappresentanze sindacali. In caso di esito negativo si procederà forzatamente a una “sospensione” dell’attività con la cassa integrazione a zero ore per tutto il personale, che per un giornale come Liberazione suona tanto come un annuncio di chiusura definitiva.

Giornalisti e poligrafici, allo stesso modo dei colleghi del Riformista, hanno lanciato un appello simile: “Liberazione non può chiudere, non proprio 10 giorni prima che si sblocchi la situazione dei fondi per l’editoria”. La redazione, oltretutto, aveva già accettato un primo piano di 23 esuberi. A nulla è valsa l’offerta di una “donazione” che avrebbe permesso ai 30 lavoratori di rimanere al loro posto, al costo di 6, in attesa dello sblocco dei fondi pubblici. “Non sottovalutiamo i problemi della proprietà – ha detto il comitato di redazione – e siamo pronti a tutti i sacrifici, ma troviamo una soluzione temporanea. Di certo, però, non firmeremo mai un accordo discriminatorio fra noi i lavoratori”.
Il foglio autoprodotto dalla redazione: “Liberazione deve riaprire, tu come la vorresti?”