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Liberi di non picchiare: educare con rispetto

Da Jessi

Mamma bieni!! Mamma babbo, benite: io voddio pulisci!!

Sì, con qualche piccola imperfezione ma i bambini non hanno ancora due anni e già coniugano verbi, declinano nomi e aggettivi, concordano il verbo con il soggetto, mettono le parole nell’ordine giusto. Una cosa meravigliosa che non sorprende solo perché ci siamo abituati: tutti noi e i nonni e i nonni dei nonni abbiamo imparato in poco tempo, ognuno con le sue caratteristiche. Però resta una cosa meravigliosa perché, ad esempio, i computer che tanto ci sembrano intelligenti, sanno arrivare sulla Luna e su Marte ma queste cose non le sanno fare. Non sanno impaare la prima e nemmeno la seconda lingua. Nemmeno quando sembra che lo facciano, non facciamoci ingannare, dietro c’e sempre il trucco, almeno per ora.

Eppure, nessuno di noi insegna ai bambini queste cose. E i bambini sapranno parlare già molto bene quando a scuola qualcuno inizierà a parlare di predicato verbale, accordo, tempi e complementi. E si può parlare bene anche senza saperne, di queste nozioni (e viceversa).
E infatti nessun genitore se ne preoccupa troppo, anche se si sa che imparare a leggere e a parlare può risultare più facile con gli stimoli giusti, a nessuno viene in mente di fare analisi logica con un duenne. O di insegnargli gli aggettivi a suon di sberle.

Quando poi però si passa ad insegnare, non so, a dire grazie, scusa, prego. Quando si pensa di dover insegnare quello che riteniamo la buona educazione, a non scrivere sui libri degli altri, a non prendere i giochi degli amici, a non pretendere il gelato a colazione, cose tutte ben più semplici del linguaggio, e che del linguaggio possono avvalersi, per qualcuno l’unica via o la via più efficace sono le mani.

Così impari! Così ti ricordi, la prossima volta! Prova a rifarlo e vedrai! Che esagerazioni, non gli faccio mica male!!

Parole non insolite, basta andare per strada, in un negozio, davanti ad una scuola… nel presente, nel passato.

Perché non dovrebbe bastare il nostro esempio, se questo basta per imparare il linguaggio, per imparare una cultura, per imparare a sfogliare un libro o un i-phone? O forse è questo, il problema, dubitiamo dell’esempio che diamo ai nostri figli, pensiamo che non basti. Oppure, semplicemente, non ci preoccupiamo di dare il buon esempioe pensiamo che l’educazione sia un processo esterno a noi, un po’ come tradurre, che segue le regole di un’altra lingua e non, non più di tanto almeno, quello che noi siamo. A questo proposito, M. Montessori diceva però che “L’educazione è un processo naturale effettuato dal bambino, e non è acquisita attraverso l’ascolto di parole, ma attraverso le esperienze del bambino nell’ambiente.”

Da piccola- ero alle elementari- per riprendere un materassino che le onde ci stavano portando via, mia sorella e una nostra amica ed io ci ritrovammo in alto mare. Lo capimmo solo quando, riacciuffato il fuggitivo, ci girammo verso riva dove una folla era accalcata sul bagnasciuga e quattro pattini rossi stavamo salpando. Non avevamo ventanni in tre e ci prese la paura. Non del mare. Del caos che avevamo creato. E delle conseguenze che potevano aspettarci. Dissi alle due più piccole di rientrare e rimasi con il materassino, cercando di riportarlo a riva. Vidi la nostra amica nuotare verso uno dei pattini su cui era il padre. Quando furono vicini, il padre la tirò su issandola per un braccio e mentre lei era ancora a mezz’aria le dette uno schiaffo, poi, solo dopo, la mise al sicuro. Giurai a me stessa, là in mezzo al mare, che se avessero fatto lo stesso a me avrei trovato il modo di fuggire per sempre allontanandomi lungo la riva (non in mare, ne avevo avuto a sufficienza). Per fortuna non andò così.

Quante ingiustizie deve subire un bambino piccolo? Perché imparare l’educazione subendo atti di violenza e umiliazione? Perché deve essere punito se fa un errore di cui è il primo ad aver paura?

Io non ho risposte a queste domande, se non invitare a ripensare ai sentimenti di quando eravamo piccoli, perché a volte, ho notato, si riflette in modo davvero diverso quando ci si collega ai propri ricordi in modo sincero e quando invece si pensa ‘da genitori’ secondo l’opinione corrente.

Ad esempio, ho sentito dire “Mia madre era cattiva, mi piacchiava quando non riuscivo a prendere sonno” e la stessa persona “Io invece lo facevo solo per educare, per far capire cosa non si deve fare, come quando i miei figli rompevano qualcosa giocando a pallone in casa.” Devo dire che la differenza non la trovo. In entrambi i casi, il linguaggio non è verbale, ma violento. E’ come cercare di insegnare a parlare usando solo il silenzio. Insegnare i colori nel buio.

L’unica spiegazione che vedo è quella di un distacco dai propri sentimenti nel momento in cui si è genitori e si sente la responsabilità dell’educazione dei propri figli e  allora, senza saperlo, senza volerlo, si diventa preda dei modelli che abbiamo intorno, e non riusciamo più ad ascoltare la voce dei nostri bambini e la voce dei bambini che eravamo.

Come mamma, non posso portarvi moltissimi esempi, non posso attingere ad una lunga pratica (mia figlia ha 22 mesi), ma c’è stato un piccolo episodio che mi ha molto commossa e mi ha confermato che l’educazione ha bisogno soprattutto di rispetto.

Bibì stava giocando con due dei suoi personaggi preferiti: Barbabella e Barbalalla. Facendo lei stessa le voci, la sento che dice (più o meno):

-Lalla, bieni bieni!!

-No, tazie, io faccio le bolle!!

- Ah sciusa sciusa, ciao!

Non c’è stato mai bisogno di insegnarle queste parole, le ha raccolte da sè dai libri dalle tate e spero anche da noi di casa. Se ha imparato così piccola e senza bisogno di ‘educazione’ esplicita, verbale e non verbale, possono imparare tutti i bambini…. e anche i mammut, abbiamo appena scoperto!! Oggi in libreria abbiamo trovato questo bellissimo libro: Come Educare il Proprio Mammuth (da Compagnia), molto utile perché, insomma, non si potrebbe certo usare la forza con un animale così grande e forte! E allora ecco che l’esempio del bambino che riesce ad educare il suo mammut da compagnia ci è proprio utile!

Come Educare il Proprio Mammuth (da Compagnia)

Come Educare il Proprio Mammuth (da Compagnia)

L’esempio dunque. L’esempio come modello di comportamento, ma anche di come gli altri dovrebbero comportarsi con noi. Questo è forse il punto che, come mamma, mi sta ancora più a cuore.

Domenica è stata la giornata internazionale contro la violenza sulle donne (#25 novembre). I dati sono impressionanti, l’Italia in particolare ha dei pessimi primati in tema di disparità di genere (#gendergap) e di violenze che per lo più si svolgono in famiglia (femminicidi). Le istituzioni si stanno attivando non solo per punire, ma anche per prevenire. La mia personalissima idea quando si parla di prevenzione è quella di far venire a mia figlia il rispetto, non solo per gli altri, ma anche per se stessa.

Vorrei che fosse una bambina rispettosa, certo, ma anche rispettata.

Vorrei che sapesse riconoscere l’amore, che non lo scambiasse nemmeno per un secondo con qualcosa che assomigli al possesso, al controllo, al plagio, alla sottomissione, alla violenza.

Penso anche in quetso caso ad un altro libro per piccoli, che poi solo per piccoli non è, come tutta la poesia e la letteratura del mondo. Si tratta di “Sono io il più forte!” (Mario Ramos, Babalibri 2002).

Sono io il più forte! Mario Ramos, Babalibri 2002

Sono io il più forte!

E’ la storia di un lupo pieno di sè che si confronta con tutti gli esserini del bosco, un coniglio, Cappuccetto Rosso e i sette nani per sentirsi dire che è il più forte finchè un minuscolo esserino verde che sembra un rospo non gli nega il primato, assegnandolo a sua madre. Sua madre la venerabile Signora Drago, di fronte alla quale il lupo ovviamente fa la figura del coniglio!

Il libro può far pensare anche ad un’altra dinamica di relazione, al di là di quella del ‘bullo’: il coniglio, Cappuccetto Rosso e i sette nani, abituati a sottomettersi al lupo, non potrebbero che  soccombere di fronte al drago. Chi è abituato a temere il lupo, come potrebbe difendersi dal drago? Dall’Orco? Dal mostro?

Educare con rispetto, per me e il papà, significa cercare di abituare nostra figlia a riconoscere un lupo, quando lo incontra. Qualcuno che offre amore e dà schiaffi. Qualcuno che chiede amore in cambio di dominio e controllo. Qualcuno che pensa che amore sia possesso, paura, vincolo, sottomissione, dipendenza. Se di prevenzione vogliamo parlare, per la violenza di genere e per la violenza in generale, credo che sia importante dare in famiglia l’antidoto: far vivere l’esperienza di un amore che non vincola, che non ha paura di lasciar andare, che posa uno sguardo lieve e orgoglioso sui passi di libertà che i bambini compiono non per allontanarsi, o per distaccarsi (concetti e metafore che mi sembrano terribili, per quello che implicano nel prima e nel dopo), ma per crescere liberi e forti, con un’idea chiara di che faccia hanno i lupi.

Questo post partecipa alla Rassegna “Liberi di non picchiare”, proposta da Genitori ChannelnontogliermiIsorriso.org che si propongono di “esplorare e fornire strumenti diversi rispetto a quelli della pedagogia più diffusa ai genitori, a chi vorrebbe essere genitore in futuro, a chi si trova a occuparsi di bambini e a tutti coloro che vogliono ripensare alla propria infanzia secondo diversa prospettiva. Strumenti che permettano di costruire quel rapporto amorevole e autorevole che tutti desideriamo con i nostri bimbi e con quelli cui siamo affezionati. Strumenti per comprendere il proprio passato da figli e il proprio presente da genitori.



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