Carne da macello, da crocifissione, chiamatela come volete. Corpi martoriati, morti insolute, violazione di qualsiasi confine dell’intimo dolore. Cavie, tutti: uomini, bambini e donne. Esperimenti di una società, di un ordine mal organizzato, di una rivoluzione e di una repressione. Cavie dell’esportazione della democrazia. Ragazzi e ragazze che lottano per avere un posto in un mondo che sembra stracolmo, traboccante, anche loro a sperimentare sulla loro pelle la strana sensazione di inutilità.
Plastici su plastici non servono a rendere chiaro quello che sta succedendo, la morbosa attenzione per la fine crudele, per l’odore del sangue. Il male ha la faccia di una bella ragazza, di un esemplare padre di famiglia. Guardare dall’occhiolino della porta, quando la televisione è spenta, per constatare se davvero il mostro è così vicino.
Quel libero arbitrio appare così brutale, come si può scegliere di fare una cosa del genere? si ha paura di sé stessi, paura di poter in fondo, ognuno a suo modo, essere malvagi. Poi fare il segno della croce, chiudere la porta con il chiavistello e pregare perché la propria casa sia benedetta. Sicuri, al riparo di una mano benedicente, gli occhi trovano riposo.
La mattina dopo, lo show riprende, c’è chi guarda e chi agisce, chi dà consigli, chi vive nonostante tutto. Ci sono i sopravvissuti, i feriti e gli innocenti, insieme ai colpevoli, tutti in questo calderone che è il nostro mondo.
Sesso e sangue, terra e sudore, egoismo e scalata sociale, libero arbitrio, bene e male.
Una varietà che confonde, ognuno di noi con il nostro mos maiorum, con la propria etica, idea del mondo, scegliamo la strada che pensiamo sia giusto intraprendere, non sempre quella che viene scelta rispetterà la vita, la libertà, la dignità degli altri.
Ma la possibilità di scegliere comunque può salvarci, quando vediamo che qualcosa non va possiamo scegliere di dirlo, possiamo scegliere cosa è meglio per noi, possiamo lottare perché, nonostante la consapevolezza del male, ci si può ostinare a voler cambiare le cose, scegliere di non darla vinta a chi ha scelto di non rispettare gli altri. Una frase ha sempre condizionato il mio modo di vedere il mondo che mi sta intorno, ed è di un sopravvissuto di Hiroshima :“Non c’è parola, in nessun linguaggio umano, capace di consolare le cavie che non sanno il perché della loro morte”. Niente può spiegare ad una “cavia” il senso della sua fine, il senso della sua vita. La consapevolezza e la difesa di questa chiaroveggenza devono stare alla base della vita di ogni uomo e di ogni donna, chiedersi sempre il perché, e lottare affinchè una risposta sia lecita, senza guardare da alienati la morte e la vita.