“L’affaire Vincent Reynouard” passò del tutto inosservato, consentendo alla Giustizia francese, in collaborazione con quella belga, di perpetrare indisturbata un misfatto che si pone come un pericoloso precedente nella repressione della libertà di pensiero e di ricerca.
Vincent Reynouard è un ingegnere e storico dilettante francese di idee ultraconservatrici. Cattolico integralista e accanito revisionista, si colloca, con posizioni estreme, tra i “negazionisti” e cioè tra coloro che si propongono, attraverso la confutazione sistematica di una verità storica ufficiale, universalmente e acriticamente accettata, di ridimensionare, quando non addirittura di negare recisamente, i dati relativi alla Shoah.
Prima di illustrare il caso, che risale a qualche anno fa, è opportuno, onde evitare fraintendimenti, precisare che io non condivido le tesi negazioniste, basate quasi sempre su una interpretazione scorretta o strumentale delle fonti, delle testimonianze e dei reperti iconografici o, nel peggiore dei casi, su un cieco furore ideologico che nulla ha di scientifico.
Qui si tratta non di valutare l’attendibilità o meno delle tesi negazioniste, a ciò sono preposti gli storici, ma di stabilire un principio che deve essere valido sempre e per tutti e cioè quello della libertà di pensiero, di ricerca e di espressione, che mai dovrebbe essere messo in discussione e, tanto meno, represso con metodi polizieschi.
Ciò è esattamente quanto è avvenuto in Francia, ai danni di Vincent Reynouard, quarantunenne, ingegnere, storico dilettante, cattolico integralista, revisionista…e padre di otto figli.
Nel 2005 il Reynouard pubblicò a sue spese un rozzo opuscolo di sedici pagine, nel quale affastella sommariamente improbabili prove contro l’esistenza delle camere a gas e contro la volontà genocida del regime nazista. Tale opuscolo, dal titolo “Olocausto? Ciò che vi si nasconde”, fu spedito dall’incauto autore a migliaia di aziende autonome di turismo, musei e comuni francesi, ricavandone immediatamente una caterva di denunce.
Nel 2007, al termine di un processo istruito a suo carico dalla corte penale di Saverne, in Alsazia, Reynouard fu condannato a un anno di detenzione, senza il beneficio della condizionale, e al pagamento di diecimila euro di multa più tredicimila euro di danni a favore di una lega anti razzista. In appello, la Corte di Colmar confermò la sentenza di primo grado, inasprendo la sanzione economica, che fu portata a sessantamila euro.
Essendo il condannato residente in Belgio, la Francia spiccò contro di lui un mandato di cattura europeo in conseguenza del quale, il 9 luglio del 2010, il Reynouard fu incarcerato per ordine della magistratura belga in attesa dell’estradizione.
Tutto ciò è stato reso possibile da una legge indegna di un paese libero e civile, la “Legge Gayssot”, promulgata il 14 luglio del 1990 (ma guarda che curiosa coincidenza!) che, all’articolo 24 bis, vieta il diritto di “…contestare l’esistenza di uno o più crimini contro l’umanità quali definiti dall’articolo 6 dello statuto del Tribunale Militare Internazionale (quello di Norimberga)…”
Siamo in presenza di un’infamia giuridica con la quale il diritto vorrebbe sostituirsi alla libera ricerca storica nell’ambito della quale, solo ed esclusivamente, dovrebbe svolgersi il dibattito sul caso in questione…e su tutti gli altri, per non correre il rischio di imporre bavagli in virtù di presunte verità acquisite, da accettarsi come dogmi. Un precedente che non solo ha privato Reynouard di un suo inalienabile diritto, foss’anche quello di dire sciocchezze che l’espongono al ludibrio dei ricercatori seri, ma rappresenta un’insidiosa minaccia per tutti coloro che intendano dedicarsi alla ricerca storica senza bavagli e senza tabù.
Certamente se Reynouard avesse messo in dubbio il genocidio degli Armeni nessuno si sarebbe sognato di denunciarlo (tranne le autorità turche, notoriamente in prima linea nella difesa della libertà di espressione), ma qui si tocca un tema sensibile, una sorta di “privilegio” che vuole il Popolo ebraico “Martire per eccellenza”. Un privilegio che, a pensarci bene, non fa altro che perpetuare il pregiudizio della diversità di quel popolo, andando principalmente a suo danno.
A dimostrazione di ciò si è levata alta la protesta di Simone Veil, che ha apertamente e duramente criticato la Legge Gayssot e a lei si sono uniti nomi come Alain Peyrefitte, Alain Robbe-Grillet, Noam Chomsky e Robert Mànard, fondatore di “Reporters sans frontieres”.
Federico Bernardini
Illustrazione: Entrata di Auschwitz, fonte http://it.wikipedia.org/wiki/File:Auschwitz_I_entrance_snow.jpg