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Libia – la storia di reda , in carcere ad abu salim dove venivano picchiati, torurati e ricnhiusi in celle sotterranee

Creato il 29 agosto 2011 da Madyur

Il carcere di Abu Salim è stato conquistato dal Cnt ma, come tutto a Tripoli, è ancora sotto il tiro dei fedelissimi di Gheddafi. Gran parte dei detenuti sono stati liberati , tra loro ci sarebbe anche Matthew Van Dyke , un giornalista americano che era scomparso in Libia lo scorso marzo. Ma ora si cercano le celle sotterranee.

“C’è solo un buco per respirare , so che ci sono decine di persone detenute in quelle tombe segrete. Se non si trovano in tempo moriranno” dice Reda Omar Ali Jernaz, 34 anni, che da Abu Salim è evaso giorni scorsi.

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Reda ha il polso rotto su più punti e sul resto del corpo i segni delle torture sono visibili , dopo circa sei mesi di detenzione. Lui è tornato a combattere “ E’ la battaglia finale contro il tiranno , non potevo non esserci. Prima però dobbiamo trovare i nostri compagni sepolti vivi” dice dimostrando un ingessatura artigianale.

Reda è berbero ma abita a Tripoli dove lavorava in ufficio di collocamento , le guardie di Gheddafi lo hanno arrestato il 17 marzo mentre con quattro amici cercava di raggiungere Natul , un villaggio berbero a 30 Km dalla frontiera tunisina e di unirsi ai primi nuclei di insorti “Ci hanno legato e bendato gli occhi ed ho capito di essere finito all’inferno”.

Ed è lì che Reda viene a sapere delle fosse, le celle sotterranee scavate nella terra e riservata a quelli che il regime considera i nemici più pericolosi. Lui finisce in una cella di 5 metri con altre 35 persone. Il vitto è un pugno di riso crudo , un uovo da dividere con 9 compagni e da bere c’è solo acqua che sa di terra. Non si può lavare , per sei mesi veste gli abiti che aveva addosso il giorno dell’arresto anche se sono a brandelli.

“Ci picchiavano tutti i giorni . Arrivavano uomini mascherati e ti strappavano una cella. Un mio compagno è morto dopo uno spintona tanto violento da fargli battere la testa a terra. Gli gridavano di alzarsi e continuavano a prenderlo a calci pensando che facesse finta di aver perso i sensi” racconta Reda.

Nelle salette dove si svolgono gli interrogatori i torturatori hanno ideato strumenti fantasiosi per torturare i detenuti “Si cominciava con le bastonate poi con le scosse elettriche. Perché fossero più efficaci ci bagnavano con secchiate d’acqua. Poi c’era uno strano strumento, una specie di cassetta sui cui si era incatenati con un ferro tra le gambe e poi pestati per ore. Le domande erano sempre due : “Quanti ne hai uccisi dei nostri? Chi ti paga?. Lo scopo delle loro torture era chiaro: volevano una confessione che eravamo al soldo di Al Qaeda o di chissà chi da farci ripetere in televisione. Gridavo che ero berbero , che non avevo fatto nulla, che stava solo andando a trovare la mia tribù e soprattutto che non parlavo bene l’arabo e quindi non potevo andare in tv..” spiega Reda , torturato tutti i giorni.

“Ero ferito come gran parte dei miei compagni e dato le condizioni delle celle la cancrena dilagava. Ne respiravi l’odore opprimente chiedendoti quando sarebbe toccato a te marcire lentamente..” rammenta Reda. Ma finire in galera era peggio , perché gli uomini di Gheddafi feriti ,se vedevano un uomo in manette, lo strangolavano.

Reda ad Abu Salim ha visto cose terribili “Bimbi di tredici anni picchiati e torturati con il fratello di quindici , figli martirizzati davanti ai padri e viceversa. Gran parte dei secondini è scappata , nessuno sa dove sono quelle celle sotterranee. Dobbiamo trovarle al più presto , non importa se occorre sfidare i cecchini. Se arriviamo tardi troveremo solo delle tombe”.

Il 21 agosto tenta la prima evasione, ma non riesce a raggiungere il muro di cinta e deve tornare in cella. Riesce nella seconda evasione grazie alla complicità di un guardiano “Ci avevamo fatto sapere da fuori che avrebbero sfondato il muro con un caterpillar poi però il sorvegliante diventato dei nostri ha aperto le celle. Erano le 22. Siamo usciti in massa ma molti secondini erano fedelissimi di Gheddafi e hanno sparato a raffica. I più lenti sono morti , io sono vivo perché corro veloce anche con un polso rotto. E dopo quello che ho visto non posso far altro che cercare le fosse e combattere. Per me e per i miei compagni morti ad Abu Salim”


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