La scrittura di Péter Nádas nel suo Libro di memorie è stata paragonata in più occasioni a quella di Musil, di Proust, di Joyce, di Thomas Mann.
Nádas ci apre una finestra nuova e inconsueta sull’umanità dell’Est Europa negli anni della cortina di ferro.
Più si va avanti a leggerlo e più si sente come il flusso infinito della memoria assume uno spessore, una densità e un volume enormi. Di fronte si innalza la figura del narratore e mentre leggiamo, ci sentiamo presi, coinvolti e quasi schiacciati, dentro il rilievo del mondo. Entriamo entro a fatica, resistendo, riluttando, e poi via via sempre più affascinati ci muoviamo come se sempre più scendessimo tra le falde successive della creazione…
Il mio ultimo alloggio berlinese è stato presso i signori Kühnert, in periferia, a Schöneweide, al primo piano di una villa ricoperta di vite americana. Le foglie della vite americana si erano ormai tinte di rosso, gli uccelli venivano a beccarne i frutti neri, era autunno. Non c’è da stupirsi se mi torna in mente, da allora sono trascorsi tre anni, tre autunni, e non andrò mai più a Berlino, non saprei da chi andare, non avrei motivo di andarci, anche per questo motivo scrivo che quello è stato il mio ultimo alloggio a Berlino, lo so. Ho voluto io che fosse l’ultimo, e anche indipendentemente dalla mia volontà le cose si sono messe per questo verso, o è andata così, poco importa; e adesso, mentre cerco di farmi passare un fastidioso raffreddore autunnale – e perciò non ho testa per nient’altro, ma anche con il naso pieno di muco il pensiero vaga su cose essenziali – mi consolo rievocando gli autunni berlinesi. Non che si possa dimenticare qualsiasi cosa.
Per esempio quell’appartamento in Steffelbauerstraße, al primo piano.
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Péter Nádas
Libro di memorie
(traduzione di Laura Sgarioto con la collaborazione di Alexandra Foresto, Vera Gheno e Krisztina Sándor)
Dalai editore
2012