Libro di Vittorio Paliotti
La storia d'Italia può essere raccontata anche attraverso le canzoni. Così come col semplice aiuto delle canzoni è possibile venire a conoscenza delle vicende relative a tutti i partiti politici italiani, da quello comunista a quello socialista, da quello fascista a quello democristiano. In particolare gli eventi che iniziano col Risorgimento e che comprendono la seconda guerra mondiale, dispongono di una vera e propria colonna sonora.
Vittorie ma anche sconfitte, speranze ma anche delusioni, sono state sempre sottolineate, in Italia, da canti che talvolta raggiungono la solennità degli inni. E' appunto questa eredità culturale, spesso esaltante talvolta scomoda, che viene recuperata nel più recente libro di Vittorio Paliotti dal titolo "L'Italia chiamò – 150 anni di canzoni nazionali e politiche" (Franco Di Mauro editore, pagg. 190 euro 15). Inutile chiarire che il libro, scritto appunto in occasione dei festeggiamenti per il cento cinquantenario dell'unità d'Italia, è appunto un modo, avvincente e appassionante, di ripercorrere le maggiori tappe della storia del nostro Paese.
Agli albori del Risorgimento, per invocare l'unità d'Italia ci si avvalse di brani ricavati dal melodramma, come è il caso di "Va' pensiero", ma presto si poté contare su un testo, come "L'inno di Mameli" (oggi adottato dalla Repubblica italiana) il cui autore morì combattendo proprio per l'ideale unitario. Si nutrono poi, gli anni del Risorgimento, di canti di origine popolare quali "Addio mia bella addio" e "La bella Gigogin". Ma già la Grande Guerra 1915-18, inizialmente caratterizzata da canti creati dai soldati stessi, come "Sul ponte di Bassano", riceve una benefica scossa da "La leggenda del Piave", versi e musica di un impiegato postale napoletano, E.A. Mario, già noto come autore dialettale. Versi di questo inno ("Il Piave mormorò: non passa lo straniero!") servirono alla vittoria italiana, è stato notato, molto più delle strategie di certi generali.
L'indagine condotta con grande accuratezza da Vittorio Paliotti, comprende, per quel che riguarda il primo dopoguerra, canzoni come "Me ne frego", dei fascisti, "Bandiera rossa" dei socialisti e "Biancofiore" dei popolari (futuri democristiani), l'"Inno dei lavoratori" di Filippo Turati e "L'internazionale". Poi il regime con "Giovinezza" (che in origine era un canto di studenti che davano l'addio all'università) con "Fischia il sasso", cantata dai balilla, con "L'inno a Roma" su musica di Giacomo Puccini), e chi più ne ha più ne metta. Quindi l'impresa etiopica con "Faccetta nera" e "Io ti saluto e vado in Abissinia". E la seconda guerra mondiale con "La sagra di Giarabub", "Caro papà", "Camerata Richard", "La canzone dei sommergibili". Scritta, quest'ultima, da Guglielmo Giannini futuro capo del partito dell'Uomo Qualunque. Del tutto eccezionale il caso della canzone "Lilì Marlen" che, struggente e malinconica come era, venne tradotta, dal tedesco, in tutte le lingue; la cantavano soldati di eserciti in guerra fra di loro. Si canterà ancora dopo l'8 settembre: "Le donne non ci vogliono più bene" da una parte e "Bella ciao" dall'altra.
In questo libro, che può anche essere richiesto direttamente all'editore Franco di Mauro (tel. 081 662869) Vittorio Paliotti ha, in pratica, narrato la storia d'Italia attraverso le canzoni. "Mai rinnegare la propria storia, non più guerre, però", sono le parole con cui l'autore dà il via a un'opera che piacerà a chi, anziano, vuol ricordare e a chi, giovane, vuol conoscere.
mario carillo - napolinews
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