Magazine Asia
Masahiro Shinoda
Giappone, 1965
Lo scrittore di mezza età Oki decide di trascorrere il capodanno a Kyoto per incontrare la pittrice Otoko, che era stata sua amante molti anni prima, quando la donna aveva appena sedici anni. Da questa relazione Otoko aveva avuto una bambina, morta poco dopo il parto. Durante la sua permanenza nell'antica capitale l'uomo conosce Keiko, bellissima allieva di Otoko, legata alla sua maestra da un rapporto amoroso e decisa a vendicare in ogni modo la sofferenza procuratale da Oki.
Appena un anno dopo la pubblicazione del romanzo di Yasunari Kawabata, uscì in Giappone la trasposizione cinematografica diretta da Masahiro Shinoda, probabilmente con l'intento di sfruttare l'onda del successo del libro.
Il film - il cui titolo è stato malamente tradotto in italiano con L'amaro giardino di Lesbo - ricalca abbastanza fedelmente la successione di eventi del testo, ma sposta l'attenzione da Otoko, ancora devotamente legata al ricordo del primo amante, alla giovane e conturbante Keiko e al suo amore passionale per Otoko.
La messa in scena di Shinoda è rigorosa e l'uso di elementi architettonici a incorniciare e separare i personaggi funziona bene come mezzo per rappresentare visivamente le reciproche relazioni, le incomunicabilità, le velate ostilità. Completa l'opera il sapiente uso di luci e ombre, perfettamente in linea coi momenti oscuri e coi turbamenti dei protagonisti.
With beauty and sorrow è una storia di ossessioni e gelosie, di sentimenti morbosi al limite del patologico, nel quale la speranza di redenzione è annichilita di fronte alla lucidità da strega di Keiko. Le emozioni, lievi e sussurrate o travolgenti e devastanti, pervadono ogni scena e ogni dialogo, ogni sguardo e gesto casuale.
Quello che manca al film è la riflessione sulla letteratura, sull'arte e sul loro ruolo nelle vite dei protagonisti, sulla capacità di plasmare un'opera d'arte sulla propria vita, centrale nel romanzo. La concentrazione sulle oscillazioni del cuore, soprattutto quelle più estreme, fa perdere al film parte della bellezza e tristezza del titolo, che sono invece palpabili tra le eleganti parole di Kawabata.
Ancora una volta una bella gara, vinta come spesso accade dal libro.
Libro vs. Film: 7-3
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