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Licantropia calcistica

Creato il 15 giugno 2010 da Paperoga

Licantropia calcistica

Mi ritengo una persona mediamente posata, dai modi urbani e dall’educazione solida e inappuntabile. Conoscendo perfettamente ed odiando senza pietà l’invadenza della gente, mi farei decapitare piuttosto che sembrare anche per un solo istante inopportuno o fuori luogo. Per abitudine tendo a scomparire, a sottrarmi, a rendermi impalpabile, liquido. Qualsiasi mio movimento è orientato ad uno scrupoloso calcolo dei tempi e degli spazi.

Paura eh?

Cio non di meno, questo codice etico/morale/posturale rigido ed applicato con una precisione quasi paranoide al quotidiano, se ne va allegramente a fare in culo quando si tratta di guardare alla tv una partita della Nazionale di calcio.
Ogni quattro anni ripeto a me stesso, come un mantra di cui conosco già in partenza l’inutilità, che devo maturare nei confronti di queste occasioni “un adulto e responsabile distacco, che si tratta di una squadra di ignoranti miliardari i cui piedi più o meno decenti hanno strappato le loro braccia all’agricoltura, se non a qualcosa di ben meno dignitoso”.
Ma poi mi siedo davanti alla tv, e divento un animale da traino. Una bestia. Un lupo mannaro salentino.
Esempio fresco fresco, Italia – Paraguay.

Ci ritroviamo in casa di una coppia amica di Copeland. Cerco subito la mia posizione davanti alla tv, dopo aver arraffato una birra ghiacciata. La postazione ideale è una sedia in posizione laterale, o dietro al divano di turno, con lo schienale sul davanti, ed io che ci appoggio i gomiti pronto a scattare in piedi.
Si, perchè io mica mi sto fermo. Durante la partita sono un tarantolato che si alza, salta, gesticola come un ossesso, si avvicina alla televisione quasi prendendola a calci. Rantolo, mi precipito, indietreggio a testa bassa.
L’educazione dell’ospite si disintegra poi al primo minuto. Comincio ad imprecare con abbacinanti dissacrazioni di divinità, do sfoggio delle frasi raccolte in centinaia di albi di Tex (da “sangre y muerte!” a “corna di satanasso!”) condite da alcune personali variazioni, tipo “per due milioni di santi” oppure “mannaggia la migliore troia”.

Di solito rispettoso dell’operato arbitrale, come ogni buon collega dovrebbe fare, in queste occasioni mi produco in insulti imperdonabili verso la giacchetta nera di turno.

Di solito abituato ad analizzare coerentemente le situazioni che ho di fronte, cedo all’umoralità più uterina, maledicendo il giocatore che ha sbagliato un passaggio, salvo poi tesserne lodi sgradevolmente eccessive se si è procurato un calcio di punizione a centrocampo.

Solitamente assertore di un cosmopolitismo aggregante, mi consumo bestialmente in epiteti razzisti e dichiarazioni di odio ultra-nazionalista, diffamazioni di molteplici minoranze etniche e linguistiche, abominevoli istigazioni all’odio di razza.

Abitualmente ammirato dallo sforzo fisico degli atleti, elevo preghiere a Satana perchè ad un avversario si spezzi un ginocchio in sei parti e perchè all’altro ceda la caviglia in un frantumarsi di cartilagini.

Da sempre attento a non produrmi in odiose esternazioni aerofagiche, la birra in corpo e la bestialità tutta intorno mi spingono a ruttare come se stesse belando una pecora.

Così procede, una birra dopo l’altra, tra uno scatto isterico e un insulto razziale, la mia serata da lupo mannaro, finchè non arriva il gol del Paraguay. Come un’implosione terribile, non ci vuoi credere che sia successo davvero. Ti aspetti che l’arbitro annulli la rete, che accada qualcosa, insomma non c’è nel programma che si debba perdere. Da quel momento però con me bisogna stare attenti. Basta battute, ilarità. E’ una cosa seria il calcio. Silenzio e sofferenza, espiazione e purgatorio, punizioni corporali autoinferte per guadagnarsi la redenzione. Chi vuole sgrani rosari, o metta il velo nero. Ma che nessuno si produca in idioti commenti tesi a ridimensionare quella che “alla fine è solo una partita di calcio”… perchè gli faccio saltare la dentiera. E che nessuno provi a dire “ma in fin dei conti è meritato”, perchè qui il merito non c’entra niente, è una partita di calcio dove deve vincere la tua squadra, con ogni mezzo leale o sleale, cos’è questo fottuto spirito olimpico da perdenti?
Passano i minuti, paiono velocissimi e tu vedi già materializzarsi il ritorno a casa, tu che quattro anni fa alzavi la coppa nella Rambla catalana bevendo birra venduta da pakistani con le mani unte ed abbracciavi spagnoli e lusitani che si congratulavano  con te, sudato zuppo con una bandiera lacera e impregnata di umori da pub legata al collo…
No che cazzo, non può andare avanti così. Ma arriva il gol del pareggio. L’unico momento in cui è un maschio a procurarmi un orgasmo me lo godo tutto, mi agito come un pazzo, corro al balcone a gridare la mia gioia agli alberi, mi sento il re del mondo per qualche istante. In quei momento potrei baciare un sorcio in bocca, o bere la mia stessa urina in una bella sorsata. Ma poi ritorna la razionale sofferenza, e poi ancora rutti, madonne, insulti alla popolazione indios del sudamerica, persino agli inti illimani, e poi ancora tentativi di sfasciare porte a calci, speranze disattese, birra, imprecazioni western, poi ancora birra, e poi il fischio finale.
Dopo di che subentra il senso di colpa. Mi sono trasformato per un’ora e mezza nella mia metà oscura, tradendo un evidente sdoppiamento della personalità. Mi ricompongo, aiuto a sparecchiare, chiedo scusa per i rutti e per le apologia di razzismo alla padrona di casa, ringrazio gentilmente, mi produco in dialoghi cortesi e civili, infine saluto, leggermente ubriaco ma composto.
Torno ad essere una persona civile. Fino alla prossima sera di una piena.



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