Tanti, tanti applausi ha ottenuto Like Father, Like Son, la pellicola del giapponese Kore-Eda Hirokazu presentata in concorso nella quarta giornata del Festival di Cannes 2013. Assiduo frequentatore della manifestazione – i suoi film sono spesso stati selezionati tra concorso e Un Certain Regard, l’ultimo è stato Air Doll nel 2009 – Kore-Eda ha da sempre dimostrato, nella sua filmografia, di essere un narratore della purezza sentimenti umani e di possedere una gentilezza di tocco che superare la perfezione e la cura estetica della maggio parte della cinematografia orientale.
Like Father, Like Son è probabilmente il lavoro migliore della sua carriera. Scritto bene, con l’intenzione di non arrivare mai sopra le righe e di risultare il più verosimile possibile, e diretto con estrema semplicità, rifuggendo gesti estrosi della macchina da presa e non perdendosi nella ricerca dell’eleganza stilistica, il film racconta con tenerezza e anche un pizzico d’ironia una storia dai risvolti davvero drammatici. Al centro della narrazione infatti due coppie che scoprono improvvisamente che i loro figli di sei anni sono stati scambiati alla nascita. L’una ha cresciuto il figlio dell’altra. Dopo lo sconvolgimento iniziale, il problema deve essere affrontato: cosa fare? Riprendersi il proprio figlio di sangue o lasciare tutto così com’è?
Il dilemma non è semplice da sciogliere, così le due famiglie iniziano a frequentarsi, fanno conoscere i bambini, provano addirittura a scambiarseli nel weekend per vedere come potrebbe andare. Ma la scelta è sofferta e ancora lontana.
Kore-eda in questo film affronta il confronto tra i sentimenti e la legge del sangue, la confusione sul concetto di paternità e di famiglia, la debolezza dell’essere umano nel prendere decisioni quando di mezzo ci sono le emozioni. E così facendo, senza la presunzione di imporre messaggi o morali, fa riscoprire allo spettatore la bellezza e i valori dell’esistenza. Like Father, Like Son è la dimostrazione che il cinema è ancora un mezzo per raccontare la vita, e che quando quest’ultima presenta risvolti dolorosi può essere trattata nella finzione cinematografica anche con tenerezza e sprazzi di ironia. Basta non dimenticarsi che serve equilibrio, quell’equilibrio che lo sguardo di Kore-Eda segue rigorosamente nel muoversi di continuo dal punto di vista dei bambini a quello dei genitori, assumendo alternatamente maturità e innocenza. Da vedere, assolutamente.
di Antonio Valerio Spera